La favola di Sloane Stephens ha il più bel finale possibile. Il duro lavoro paga, come una distrazione, come un'anomalia. Un sogno concreto, un sorriso sbagliante accompagna un trionfo che sa di storia, che apre un futuro impensabile fino a un mese fa.
La numero 83 del mondo batte 6-3 6-0 una Madison Keys paralizzata dalla tensione e diventa l'undicesima nuova campionessa Slam negli ultimi 30 major dopo Schiavone (2010 Roland Garros), Li (2011 Roland Garros), Kvitova (2011 Wimbledon), Stosur (2011 US Open) and Azarenka (2012 Australian Open), Bartoli (2013 Wimbledon), Pennetta (2015 US Open), Kerber (2016 Australian Open), Muguruza (2016 Roland Garros) e Ostapenko (2017 Roland Garros).
Non perde mai il servizio nell'ora di lezione a Keys. Le bastano 10 vincenti a fronte di soli 6 errori. Keys paga i 30 gratuiti che pesano più dei 18 vincenti e la maggiore capacità di Stephens di allungare gli scambi.
"Se a gennaio, dopo l'operazione, mi avessero detto che avrei vinto lo Us Open non ci avrei creduto" spiega Stephens. "Madison è probabilmente la mia migliore amica sul circuito, in una partita così, in un momento così speciale, non avrei voluto affrontare nessun'altra.
Le ho detto che mi sarebbe piaciuto esistesse il pareggio nel tennis, e so che per lei oggi valeva lo stesso: è questa la vera amicizia". Stephens, che era numero 957 quando perse contro Halep all'esordio a Washington e sarà in top 25 la prossima settimana, è la quinta non testa di serie a conquistare un major dopo Chris O’Neil, Serena Williams, Kim Clijsters e Ostapenko.
Stephens appare più tranquilla, e tiene a zero i primi due turni di battuta. Keys nel primo momento di tensione butta via un frettoloso rovescio lungolinea e consegna una palla break. Stephens converte e allunga sul 3-2.
La settima sfida per il titolo in un major fra due finaliste Slam diventa questione di dettagli. E la partita si mette sul binario di Stephens, che comanda gli scambi dal centro e legge meglio gli sviluppi del match. Il dritto della numero 83 del mondo penetra di più, Stephens si apre il campo meglio e mette i piedi più vicini alla riga.
Keys, al contrario, nelle fasi delicate della partita perde la fluidità nella meccanica del servizio, e visto il suo stile di gioco fa tutta la differenza del mondo. Al secondo set point, Keys getta un rovescio lungo ma ancora tirando al centro e senza una grande idea dietro la palla.
Dopo mezz'ora, Stephens chiude 6-3 con due break. Il terzo ace non basta a salvare Keys dal consegnare il primo break del secondo set. Stephens, numero 83 del mondo, mette sui suoi binari la finale con la classifica combinata più bassa allo Us Open dall'inizio dell'era computerizzata (novembre 1975, escluso il 2009 con il successo di Kim Clijsters senza classifica alla vigilia del torneo).
Keys, che gioca con una fasciatura molto stretta alla coscia, sembra troppo tesa, conferma le indicazioni delle interviste a caldo prima del match, e continua a scivolare in una spirale di dubbi, non certo di bellezza.
Il rovescio lungo che le costa il primo break in avvio di secondo set dimostra una certa assenza di idee, di tranquillità. E il doppio fallo che fa volare Stephens avanti 4-0 avvicina questa finale a Myskina-Dementieva al Roland Garros 2004, un altro duello fra due amiche che si conoscevano da quando mettevano in palio una pizza in allenamento, troppo condizionate dalle esperienze pregresse e dalle complicazioni emotive della partita.
Stephens, la seconda giocatrice con la classifica più bassa in finale in uno Slam dopo Chris O'Neil (numero 111 al mondo all'Australian Open 1978) In aggiornamento