La rinascita del tennis australiano



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La rinascita del tennis australiano
La rinascita del tennis australiano

Innovare e crescere”: questo è il motto di Tennis Australia, una delle federazioni più ricche e maggiormente capaci di lavorare con profitto sui giovani all’interno del panorama tennistico, come confermato dai recenti risultati. La cultura tennistica che c’è nel paese dei canguri è sicuramente una delle migliori su scala globale, con tante persone che dispongono di conoscenze tecniche di alto livello (Tennis Australia vanta circa 1300 coach, oltre a 13.000 campi), ma soprattutto tanti ex giocatori, di cui molti di alto livello, che sono riusciti ad entrare in sinergia con la Federazione per formare nel miglior modo possibili i loro giovani.

Non solo, un elemento importante del loro programma di lavoro è costituito dal dialogo anche tra gli stessi allenatori, fonte di arricchimento e conoscenza reciproca. Non a caso, infatti, ogni anno viene indetta una conferenza ufficiale degli allenatori, che nel 2018 si è tenuta tra l’11 e il 13 gennaio.

Non sempre tutto questo si è tradotto subito in risultati importanti per i tennisti aussie, ma ragionare sul medio-lungo periodo è la caratteristica delle grandi società e aziende, così come delle federazioni sportive, senza concentrarsi necessariamente sui risultati nel brevissimo termine. Proprio questo ha portato alla formazione di tanti giocatori di valore, ognuno con caratteristiche, potenzialità e difficoltà diverse.

Movimento maschile: l’asso Kyrgios, i problemi di Tomic e Kokkinakis, l’arrivo di de Minaur

La punta di diamante del tennis australiano attuale è certamente Nick Kyrgios, considerato da molti come uno dei giocatori più divertenti del circuito e con la maggiore capacità di produrre colpi vincenti e spettacolo in tanti modi diversi. Dei suoi problemi in termini di dedizione al lavoro e di cura dei particolari è stato già detto molto, ma quanto intravisto in questo primissimo scorcio del 2018 lascia ben sperare per un’inversione di tendenza. “Mi sto allenando molto più duramente in palestra, ho migliorato la mia alimentazione”, ha dichiarato l’australiano di origini greco-malesi durante la off-season.

A Brisbane, dove ha conquistato il quarto trofeo della carriera, a tratti lo si è anche visto prendersi più tempo tra un servizio e l’altro, segno di un’attitudine agli incontri che forse sta cambiando. È ancora molto presto per delineare una tendenza positiva in tal senso, ma intanto è arrivato al primo Slam dell’anno in ottima condizione e con i presupposti per andare lontano. Nell’anno in cui spegnerà 23 candeline, potrebbe essere arrivata la svolta. Forse.

Problematiche diverse, almeno sotto alcuni aspetti, per Bernard Tomic, capace di raggiungere i quarti di Wimbledon nel 2011 e di arrivare al numero 17 ATP soltanto due anni fa, e ora uscito dai primi 150 del mondo. Oltre ad aver dichiarato di giocare “solo per i soldi”, Tomic sembra aver voltato le spalle anche a Tennis Australia, che sta cercando in tutti i modi di non lasciarselo scappare: “Noi gli offriremo tutto il sostegno possibile. Vorremmo soltanto che accetti la nostra offerta e e continui a lavorare per portare avanti la sua carriera”, ha detto Craig Tiley prima dell’inizio degli Australian Open playoff della fine dello scorso autunno. Al momento, però, la risposta implicita di Tomic è stata negativa.

Discorso diverso per Thanasi Kokkinakis che, appena arrivato sul tour insieme all’amico Kyrgios, era visto come il più completo tra i due, soprattutto considerando la qualità dei suoi fondamentali. I problemi fisici che ha avuto tra il 2015 e il 2016 lo hanno fermato sul più bello, dopo essere arrivato nei top 70 a diciannove anni. Di questo ha parlato lui stesso meno di un mese fa a 20Four, nella serie video “In my own words”: “Sono un idiota. Verso la fine di quell’anno (2015) ho iniziato a spingere coi pesi perché avevo sentito che la Nike voleva lanciare gli smanicati. Non riuscivo più a muovere il mio braccio, sapevo di dover ricorrere alla chirurgia”.

Kokkinakis contava di rientrare dopo tre o quattro mesi, ma al termine del suo percorso di riabilitazione gli si è nuovamente dislocata la spalla (destra, ndr), strappandosi poi il pettorale quando stava ricominciando ad allenarsi in vista degli Us Open.

Alla fine è riuscito a rientrare nel tour, arrivando in finale a Los Cabos battendo Berdych e perdendo da Querrey in tre set.
Nel 2018 si è fermato al primo turno degli Australian Open, dove non è riuscito a sconfiggere Medvedev, in una partita in cui si è fatto trattare la spalla destra ed entrambi i polpacci, avendo pure un conato di vomito alla fine del terzo parziale. In precedenza aveva partecipato alla Hopman Cup, sconfiggendo Alex Zverev in una bella partita durata due ore e quarantadue minuti. Segnali discordanti, dunque. Attualmente è n.216 ATP, ma adesso dovrà solamente cercare di disputare tornei in modo continuativo. Il movimento tennistico ha bisogno anche di lui.

Sembra avere più certezze Alex de Minaur, classe 1999 e protagonista assoluto delle prime due settimane del 2018, in cui ha raggiunto la semifinale a Brisbane  e la finale di Sydney. Quello che colpisce dell’allievo di Lleyton Hewitt è la maturità e l’atteggiamento che mostra sul campo, che valorizzano nel miglior modo possibile le sue qualità migliori: capacità di scegliere sempre la soluzione giusta in tutti gli scambi, abilità nel rimanere vicinissimo alla riga di fondocampo e nello sfruttare la velocità di palla dell’avversario, footwork di livello eccezionale.

Tutto questo dovrebbe portarlo almeno nei primi 100 nel corso del 2018, ma ora la sua priorità è lavorare tecnicamente e fisicamente (è alto 1,80 m per 69 kg), in particolare sulla parte superiore del proprio corpo.

Il movimento femminile: la rinascita di Barty, aspettando Aiava

Con Sam Stosur nella fase calante della propria carriera, Tennis Australia non è rimasta indietro nemmeno sul versante femminile, nonostante i guai non siano mancati nemmeno alle ragazze. Questa settimana gli aussie possono vantare due giocatrici tra le prime 25, con la grande ascesa di Barty e la naturalizzata Gavrilova che da due anni sembra aver trovato la sua dimensione tra il numero 20 e 35 WTA.

Proprio la storia di Ashleigh Barty ha quasi dell’incredibile: ragazza prodigio, si fece notare già a livello juniores raggiungendo la finale a Wimbledon nel 2011 e centrando ben tre finali Slam in doppio nel circuito professionistico a soli diciassette anni e sfiorando l’ingresso nelle top 100. Nel 2014, però, decise di ritirarsi e di andare a giocare nel campionato professionistico di cricket: “Ero diventata un robot, e non era quello che volevo”.

Prima ancora di prendere quella decisione Ashleigh aveva avuto problemi di depressione, andando in terapia da uno psicologo e assumendo farmaci. Tra i motivi delle sue difficoltà professionali, e non solo, c’era anche la gestione della sua non dichiarata omosessualità e della pressione derivante dai media: a detta di molti, infatti, l’Australia è il paese peggiore per un tennista dal punto di vista mediatico, al pari della Gran Bretagna.

Le aspettative, la pressione quotidiana sottoposta dai giornalisti sono particolarmente elevate e complicate da assorbire in maniera sana. Ciò nonostante, grazie al sostegno del coach Craig Tyzzer, nel 2016 decise di ricominciare, ponendo le premesse per un 2017 importante, che l’ha vista arrivare addirittura tra le prime 20 (questa settimana è n.17).
Il suo tennis, poi, è uno dei più divertenti del circuito: la sua capacità nel coniugare varietà, eleganza, pesantezza di palla ed efficacia al servizio ha poche eguali. Dopo tutto quello che ha passato, uno degli errori peggiori che potrebbe commettere sarebbe porsi limiti.

Ma non c’è solo lei: dietro, infatti, ci sono altre giovani interessanti, su tutte Lizette Cabrera e Destinee Aiava.
La prima, di origini filippine, ha compiuto vent’anni a dicembre e questa settimana si trova al n.165 WTA. Dotata di una buona mano nei pressi del net, sa essere propositiva con entrambi i fondamentali – soprattutto con il dritto lungolinea -, ma le manca ancora una pesantezza di palla adeguata per entrare nell’élite del tennis mondiale.

Chi non difetta in potenza è invece Destinee Aiava, classe 2000 e n.193 del mondo. Di padre neozelandese e di madre samoana, dodici mesi fa è diventata la prima giocatrice nata negli anni 2000 a giocare nel main draw di uno Slam. La sua storia  è stata fin da subito di particolare interesse a causa dei problemi economici della sua famiglia, ragione per cui si ritrova costretta ad essere la principale fonte di sostentamento della madre e del fratello undicenne.

A questo è dovuto quanto affermato da lei recentemente ai microfoni del Daily Mail: “La carriera da tennista mi sta facendo male. Non aiuta entrare in campo sperando che la partita finisca il più presto possibile. Non appena avrò guadagnato abbastanza denaro, smetterò di giocare. Ho vissuto una vita povera e quindi voglio migliorare il mio stile di vita. Il denaro è la mia motivazione”.

Alta 1,75 m, l’australiana è una giocatrice varia, completa e offensiva. Sa aprirsi gli angoli e accelerare in lungolinea con entrambi i fondamentali, specialmente con il dritto, ma viene anche a chiudere qualche punto a rete; dotata di una buona prima di servizio, avrà bisogno di migliorare in modo particolare dal punto di vista atletico, potendo guadagnare in esplosività, ricerca di palla e spostamenti, come visto bene nell’incontro contro Halep.

Se son rose fioriranno, se son spine pungeranno”, disse moltissimi anni fa Michele Besso. L’impressione generale, però, è che Tennis Australia non si farà male.