Di Djokovic, di umanità, di un sogno infranto e di una serata epica



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Di Djokovic, di umanità, di un sogno infranto e di una serata epica

C’è voluto un sogno sfumato, un’impresa lisciata, un piccolo scarabocchio su un’opera d’arte per ‘convincere’ il pubblico a stare, per una volta, dalla parte di Novak Djokovic. Il serbo si ritrova con l’arto tremante nel momento dell’ultimo colpo di pennello e il suo mirabolante 2021 non raggiunge la perfezione.

Ma lo sport non può soltanto essere una questione di bianco e nero, si deve trattare anche la sfumatura ed è lì che Nole ieri sera ha vinto una piccola, grande battaglia. Una nottata vissuta in antitesi col suo essere: ha perso sul campo e vinto per la gente.

Solitamente gli capita l’esatto opposto. L’immagine della testa gettata quasi con violenza sotto l’asciugamano a nascondere un pianto sincero, soddisfatto e dispiaciuto allo stesso tempo, rappresenta probabilmente uno dei momenti di sport più alti di sempre.

Il campione che ha alimentato la sua anima con le vittorie cercando consensi mai trovati - o, comunque, in parte minima rispetto agli altri due compari – si ritrova osannato e preso per mano dal pubblico dell’Arthur Ashe e se ne rende davvero conto quando è tardi per soddisfarli.

Bellissimo. Come l’abbraccio a rete con Medvedev, gesto di inequivocabile signorilità. Dopo aver perso, paralizzato dalla tensione, la partita che lo avrebbe reso immortale nella storia di tutti gli sport, Djokovic dice: “Sono l’uomo più felice al mondo perché mi avete fatto sentire speciale”.

Chissà che questa crepa nella corazza non cambi la storia del rapporto tra il serbo e il pubblico di ogni stadio. E, soprattutto, che ne sarà del Djokovic tennista da domani? Dopo la vittoria in semifinale contro Sascha Zverev, Nole aveva detto con l’occhio già lucido d’emozione: “Giocherò la finale come se fosse l’ultima partita della carriera” e, in effetti, le basi per tirare giù il sipario con qualcosa di clamoroso c’erano tutte: chiudere lo Slam timbrando il 21simo titolo gli avrebbe consentito in un sol colpo di staccare la premiata ditta Federer-Nadal e compiere un’impresa che manca al tennis da oltre 50 anni ma che, nel 2021, avrebbe tutt’altro peso e significato, non ce ne voglia il buon Rod Laver.

Sarebbe stato un finale favoloso per una storia nata sotto una cattiva stella o, meglio, oscurata da due supernove. Sarebbe stato il punto esclamativo che avrebbe concluso con la bandiera serba l’annosa questione del più grande di sempre.

Che ci sia un disegno più alto che vuole spingere affinché i tre tenori chiudano sul 20 pari? Per chi scrive non c’era bisogno di un’ulteriore vittoria del serbo per assegnargli un titolo che già gli appartiene, ma tant’è.

In queste ore si è scritto e detto che la finale degli Us Open ha restituito al mondo un Djokovic umano, fallibile, perdente. In realtà umano lo è sempre stato perché, come sopra, non si può ricollegare tutto al mero risultato, al bianco o al nero.

In questo stupefacente viaggio della sua carriera, Nole si è spogliato di tante emozioni che hanno accompagnato le sue vittorie (tante, quasi tutte) e le sconfitte (poche). Sull’Arthur Ashe c’era inevitabilmente odore di storia e una storia si è consumata: non quella che tutti aspettavano, ma un’altra sportivamente non all’altezza di un Grande Slam, ma umanamente degna allo stesso modo delle stesse attenzioni.

Per quanto riguarda la critica per il triplice 6-4 che ha consegnato a Medvedev il primo Slam della carriera, che dire? Come si analizza la partita di uno che arrivava a giocarsela con 27/27 sul groppone? Chi può dare una spiegazione? Le domande da porsi invece sono: con quali stimoli può continuare? Quali obiettivi ci sono all’orizzonte? Come ci si rialza dopo essere scivolati a mezzo metro dall’Olimpo?