Tra le fasi dell’elaborazione del lutto, l’accettazione è la quinta e ultima oltreché la più importante ovviamente. Non è dato sapere in base a quali criteri l’ascesa, l’affermazione e infine il dominio di Novak Djokovic sul tennis mondiale debba essere considerato un lutto, ma tant’è.
A ogni rintocco di campana – che in casa Nole equivale a uno Slam in più sul caminetto – l’appassionato medio, orfano del caldo e confortante binomio Federer-Nadal, si ritrova costretto a cercare inesistenti peli nell’uovo per nascondere una verità invisibile solo all’occhio di chi non vuol vedere: Novak Djokovic è già il più grande di tutti i tempi.
Iniziare ad accettarlo è cosa buona e giusta. Già, perché in un circuito stritolato fino alla noia, qualcosa si deve pur fare e la questione del G.O.A.T. è sempre argomento frizzante da maneggiare.
Da sempre uomo-contro, il serbo è come quel figlio che deve dimostrare il doppio, il triplo per poter essere trattato alla pari dei fratelli. Col titolo intascato a Wimbledon ieri, Djokovic pareggia anche l’unico numero – probabilmente il più significativo – che lo vedeva indietro rispetto agli altri due fenomeni.
Il 20° timbro Major vale, giocoforza, una candidatura feroce, palese, evidente, taciuta solo da chi mente sapendo di mentire. Perché Nole non è soltanto numericamente il più forte di tutti, lo è anche concettualmente e il plico della sua tesi farà sprofondare quello della concorrenza: titoli, statistiche, confronti, record.
È tutto dalla parte del Mr. Fantstic di Belgrado che non avrà il talento da semi-dio di Federer né il tennis rivoluzionario di Nadal, ma rappresenta un antidoto sintetico letale per l’uno e per l’altro.
Anzitutto nell’anno 2021 Djokovic potrebbe chiudere il Grande Slam: una roba immonda, di devastante portata, tanto che è riuscita soltanto una volta nell’Era Open e quando almeno la metà di chi segue il tennis manco era nata.
E la cosa ancor più clamorosa risiede nel fatto che chiudere il 4/4 potrebbe, dopo una riflessione, anche non essere il numero più imponente negli highlights della carriera del serbo. 19 dei 20 titoli dello Slam Djokovic li ha vinti in un meno di un decennio: dall’Australian Open 2011 a Wimbledon 2021; vincendo a New York terrebbe la media di due Major all’anno spalmati su dieci anni.
Irreale. Non avesse deciso di sparare una pallata a un giudice di linea lo scorso anno agli Us Open, quasi certamente Djokovic avrebbe vinto sei Slam consecutivamente. Di più: otto Slam sono arrivati dal luglio 2018 al luglio 2021 con in mezzo la appena citata squalifica newyorkese e uno Slam non disputato per la pandemia (Wimbledon 2020).
Ne vogliamo ancora di più: Djokovic è l’unico ad aver vinto almeno due volte ogni Slam e ogni Masters 1000. Ancora non basta: non solo è in vantaggio negli scontri diretti con Nadal (30-28, contro cui aveva perso 14 dei primi 18 incontri) e con Federer (27-23, contro cui aveva perso 9 dei primi 13 incontri), ma li ha battuti più volte nei loro regni (rispettivamente Parigi e Londra) perdendone appena una – da ventenne – nel suo di regno (Melbourne).
Se proprio ci va potremmo aggiungere le settimane al comando del ranking mondiale, già più di ogni altro da quando c’è un pc a tenere i conti. Il tutto collezionato in un’era particolarmente densa di fenomeni, come del resto tutte le statistiche storiche dimostrano.
Se ancora non basta – e siamo certi che qualcuno storcerà il naso – occorrerà attendere qualche Slam quando davvero respingere la candidatura di Djokovic equivarrà a voltarsi dall’altra parte davanti all’evidenza.
E allora quali sono le colpe da espiare per questo extraterrestre? Un tennis all’apparenza poco brillante, troppo ‘reattivo’, come dicono quelli che provano a essere cool anteponendolo al più sagace ‘proattivo’.
Forse. L’essere arrivato con un pelo di ritardo mentre Federer e Nadal già stavano portando il tennis fuori dalla nicchia e verso il mainstream. Ancora più probabile. E allora perché è considerato il numero uno, se non più odiato, sicuramente meno amato di sempre? Probabilmente la risposta è residuale: non è Djokovic in sé a essere odiato, ma quello che rappresenta per il tifoso: ovverosia la minaccia che attenta alla leadership del duo di testa, ora non più tanto di testa.
Ed è, francamente, una modalità di pensiero un po’ vigliacca quella che porta a disprezzare un fuoriclasse totale. Gli sguardi che avversari e spettatori riservano a Federer e Nadal, anche nella sconfitta, l’amore incondizionato con cui vengono trattati e sospinti non è materia negoziabile: questo è un servizio a cui neanche Nole può ribattere e, pur avendolo ormai compreso, si vede che brucia ancora sotto la pelle.
Su questo il serbo non può farci nulla: ciò che può fare è continuare a vincere, dominare, ammassare numeri, record, Slam. Questo è il suo destino: essere il più forte senza essere il più amato. Che almeno la grandezza gli sia riconosciuta.