Parigi, 1989: la Grande Rivoluzione di Arantxa



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Parigi, 1989: la Grande Rivoluzione di Arantxa

Il trionfo di Michael Chang ha ispirato servizi, speciali, documentari. Eppure il Roland Garros 1989 ospitò un'altra rivoluzione, altrettanto fragorosa. Altrettanto spettacolare. Fu l'inizio di una nuova epoca, sia per il tennis femminile che per quello spagnolo.

In quegli anni, la Spagna aveva bisogno di nuovi personaggi, eroi sportivi. Gli anni 80 avevano regalato la finale agli Europei di Calcio (bruciata dalla papera del portiere Arconada), una bella finale olimpica nel basket a Los Angeles, nonché il trionfo di Delgado al Tour de France 1988.

Messi in archivio gli orrori del franchismo, lo sport era tra gli strumenti preferiti per la rinascita. Da lì a poco, Barcellona avrebbe ospitato una splendida edizione delle Olimpiadi, forse l'ultima “a misura d'uomo”.

Per questo, il trionfo di Arantxa Sanchez al Roland Garros ebbe un certo valore simbolico, oltre che tecnico. Steffi Graf aveva vinto gli ultimi cinque Slam consecutivi, e in quel 1989 aveva perso solo una partita (contro Gabriela Sabatini).

Pur essendo ancora minorenne, la piccola Arantxa (sorella minore di Emilio e Javier) vantava già un paio di quarti a Parigi, e si presentò in ottima forma. Aveva giocato sei torni di preparazione su terra, tra quella verde americana e quella rossa europea, senza mai perdere prima della semifinale.

Aveva vinto a Barcellona, poi a Roma si era arresa solo alla Sabatini. Ma il Foro Italico, in quegli anni, era Gabylandia. Per la prima volta dopo una ventina d'anni, al Roland Garros non partecipavano né Martina Navratilova, né Chris Evert.

Era un simbolo, il segno che un'epoca era ormai terminata. Il loro posto era stato preso da Steffi Graf, cannibale del tennis, Eddie Merckx del tennis femminile. In effetti, arrivò in finale più o meno in carrozza (salvo un set ceduto in semifinale alla rampante Monica Seles).

Ma il percorso di Arancita non fu da meno. Numero 10 WTA, accreditata della settima testa di serie, si infilò in un tabellone sgombrato dalla prematura eliminazione della Sabatini. La spagnola batté Regina Rajchrtova (futura signora Korda), Isabelle Demongeot (che sarebbe diventata famosa per aver denunciato gli abusi del suo coach, Regis de Camaret), Natalia Medvedeva (sorella di Andrei), Amanda Coetzer e Jana Novotna.

Dopo il successo contro la ceca, in sala stampa le fecero una sorpresa: poté parlare al telefono a Lilì Alvarez, fino ad allora miglior tennista spagnola di sempre. Tre volte finalista a Wimbledon, le fece i complimenti e le consigliò di sviluppare il gioco di volo.

In semifinale, vittoria di routine contro Mary Joe Fernandez, che pure aveva preparato il torneo in Spagna, sotto la guida di Manolo Orantes. Il 10 giugno 1989, finale contro Steffi Graf. Non le davano mezza chance, memori del terrificante 6-0 6-0 incassato l'anno prima da Natalia Zvereva.

“Ma cosa dite? - rispose Arantxa – lasciatemi godere il momento, ho 17 anni e voglio fare qualcosa di grande per il mio paese. La domanda sui game, fatemela anche dopo la finale... Avete visto cosa ha fatto Chang contro Lendl, quando tutto sembrava perso? Anche io voglio la mia opportunità”.

Giovane, ma con le idee chiare e un'incrollabile fiducia in se stessa, capace di travolgere anche lo scetticismo dell'amato fratello Emilio. La sera prima della finale, in hotel incontrò l'ex giocatore Josè Luis Arilla.

“Ehi, lo sai che domani faccio il doblete?” gli disse. Già, perché avrebbe giocato anche la finale del doppio misto insieme a Horacio de la Pena. “La sua fiducia è qualcosa di impressionante” disse Arilla.

Il polsino e la festa in ambasciata

Il giorno della finale, Steffi e Arantxa furono accolte da un cielo plumbeo. C'era il timore di un rinvio, ma Giove Pluvio scelse di addormentarsi per tutto il pomeriggio. Ben presto, si capì che la Graf non avrebbe ripetuto la passeggiata dell'anno prima.

Con il suo aspetto da cartone animato, Arantxa zampettava come un gatto da una parte all'altra del campo. Aveva già l'iconico portapalline sulla schiena, dove mettere la palla per l'eventuale seconda di servizio, e si asciugava il sudore con l'enorme polsino con i colori della Spagna, altro feticcio simbolo.

L'avevano regalato a Emilio un paio di settimane prima, a Dusseldorf, in occasione della World Team Cup. Vittima di un problema alla schiena che gli impedì di partecipare al torneo, lo passò alla sorella. Sarebbe stato il suo portafortuna.

Erano altri tempi: la Graf serviva con due palline in mano e – se metteva la prima – giocava lo scambio con una palla in mano. Oggi sarebbe impensabile, anche solo perché quasi tutte giocano il rovescio a due mani.

Cercando con insistenza il rovescio della tedesca, pur cercando di variare il gioco, Arantxa salì 5-4 e servizio nel primo set. Si fece riprendere, poi sul 6-5 Graf ci furono due setpoint per la tedesca. Il secondo volò via dopo uno scambio interminabile.

Sussurrando i suoi famosi “vamos!”, Arantxa avrebbe artigliato il tie-break. Ma Steffi era Steffi: 6-3 il secondo, 5-3 e servizio nel terzo. “In quel momento, tutti pensavamo che fosse finita – ricorda José Luis Ferrando, suo manager per conto di IMG – soltanto Arantxa la pensava diversamente”.

Si attaccò alla partita, infilando tre giochi consecutivi e sfruttando le incertezze della Graf (incredibile una volèe di dritto affossata in rete sul 5-4). Sul 6-5, la Graf scappò in bagno. Disse che le erano venuti i crampi a causa del ciclo, ma molti lo presero come un gesto disperato per togliere il ritmo all'avversaria.

Ma ci voleva ben altro per destabilizzare Arantxa: 7-6 3-6 7-5 in due ore cinquantotto minuti. Dopo l'ultimo rovescio in rete, Arancita si è sdraiata per terra, ha osservato il suo clan e – dopo l'abbraccio con la Graf – ha trovato un mazzo di fiori sulla sua panchina.

La prima a scambiare qualche parola con lei fu Georgina Clark della WTA. All'epoca, la premiazione del Roland Garros si svolgeva ancora nel palco delle autorità: asciugate le lacrime di gioia, il direttore del torneo Patrice Clerc guidò le giocatrici verso i trofei.

La coppa intitolata a Suzanne Lenglen le fu consegnata da Philippe Chatrier, all'epoca presidente ITF, e a cui oggi è intitolato lo stesso campo. Il successo le valse 32 milioni di pesetas (l'equivalente di circa 200.000 euro, quasi uno scherzo per oggi).

Dopo la finale del misto, perduta, e una lunga conferenza stampa, Arantxa sarebbe stata accolta dall'amabasciata spagnola a Parigi. C'era una festa in omaggio a Montserrat Caballé, ma la interruppero per applaudire la tennista.

Fu una cena colma di sfarzo, con tutte le persone che le erano state vicino: mamma Teresa, il padre che aveva fumato 30 sigarette durante la finale, il coach cileno Juan Nunez e la sua cara amica Elvira Vazquez, che le regalò un cane yorkshire che sarebbe diventato suo fedele compagno di viaggio.

Lo avrebbe chiamato Roland, poi dopo il successo del 1994 sarebbe arrivato Garros. I bravi manager fanno affari anche durante le feste, così Ferrando convinse i rappresentati di SEAT (principale marchio automobilistico spagnolo) e regalarle una macchina griffata al compimento della maggiore età.

Duecento anni dopo la presa della Bastiglia, giorno in cui sarebbe cambiata la storia della Francia, due piccoletti avrebbero cambiato la storia del tennis. Non soltanto Michelino Chang col suo servizio “da sotto”, con lo sfondo dei fatti di Piazza Tienanmen.

La rivoluzione arrivò anche grazie ad Arantxa, che il giorno dopo sarebbe stata omaggiata da una foto a tutta pagina su As, il principale quotidiano sportivo spagnolo. Scrivevano semplicemente “CAMPEONA”.

L'età dell'oro spagnola era ufficialmente iniziata.

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