Sembrava Hulk Hogan. Subito dopo aver vinto il Campionato NCAA 2019, Paul Jubb si è strappato la maglietta, proprio come l'icona del wrestling. Ha alzato i pugni al cielo e ha gridato un vigoroso “Come on!”.
È stato il suo modo per celebrare un successo inedito: non era mai successo che un britannico vincesse il prestigioso titolo universitario americano, nel cui albo d'oro troviamo Jimmy Connors e John McEnroe. Un successo che vale una montagna di soldi, perché garantisce una wild card per lo Us Open.
Ma c'era un problema: sia pur nato in Kenya, Jubb è britannico. E l'invito è riservato agli americani. Per sua fortuna, l'episodio non è sfuggito al di qua dell'Atlantico e gli hanno dato una wild card per Wimbledon.
Se l'è cavata, strappando un set a Joao Sousa. La settimana precedente si era qualificato a Eastbourne, battendo Istomin e Rublev. Ma torniamo al titolo NCAA: dopo il successo, ha abbracciato vigorosamente Josh Goffi, che lo allena presso l'Università della Carolina del Sud, e i due sono scoppiati a piangere.
“Mi emoziono ancora oggi – racconta Goffi, a distanza di un anno – io gli ho detto che ce l'aveva fatta, lui ha risposto 'ce l'abbiamo fatta'. Una frase che mi è rimasta nel cuore”. I due si sono incrociati per la prima volta nel 2016, quando Goffi fece una sortita in Gran Bretagna per reclutare qualche buon talento.
Quel viaggio non andò a buon fine, allora fu contattato da James Trotman, tecnico della federazione britannica. “Senti, perché non cerchi qualche buon giocatore fuori dai canali abituali?”. Non era tanto convinto, ma poi ha deciso di tentare.
In fin dei conti, il viaggio l'aveva fatto... Allora si è concesso 4 ore di treno, verso nord, fino a Hull. Lassù si allenava il 16enne Jubb, allenato da Johnny Carmichael. Quest'ultimo sapeva dell'arrivo di Goffi e lo andò a prendere alla stazione, manco fosse una star.
E gli raccontò del passato di Paul. Ancora oggi, Jubb non ama parlarne troppo. Tutti sanno che è orfano di mamma e papà, ma lui si limita a ricordare di avere i loro nomi tatuati sulla pelle. Tanta riservatezza è giustificata: papà Shaun, ex membro dell'esercito britannico, si è tolto la vita quando Paul era un bambino.
Qualche anno dopo, è scomparsa anche la madre. Nonostante la tragedia familiare, Jubb non ha mai perso i suoi obiettivi. Voleva diventare un tennista, ad ogni costo. E non poteva pesare troppo a lungo su nonna Valerie, che si è presa cura di lui.
“È una persona molto forte, ha avuto un ruolo enorme della mia vita. Sin dall'inizio, è stata la roccia a cui mi sono appoggiato – ricorda Jubb – non ho nessun ricordo di mio padre, mentre di tanto in tanto andavamo a trovare mia mamma, nel fine settimana.
Non ho mai fatto troppo domande. In certe situazioni ti trovi davanti a un bivio: soffermarti oppure andare avanti. Io ho scelto la seconda via”. Ha iniziato a giocare da piccolo, ma le sue condizioni economiche non erano compatibili con uno sport così costoso.
La nonna vive nelle case popolari. “Infatti non ho avuto una grande carriera giovanile. Dipende dal fatto che non ho giocato molti tornei: mia nonna non guidava, quindi mi era materialmente impossibile raggiungere le sedi dei tornei.
Quando ho iniziato a prendere lo sport sul serio, non avere nessuno che mi accompagnasse mi ha fatto molto arrabbiare”. Come era logico, ha trovato la figura paterna nel suo principale educatore. Nella fattispecie, coach Carmichael.
“È stato il secondo asse portante della mia vita. Mi ha aiutato a mantenere la mentalità che ho appena descritto: scegliere di andare avanti. Senza di lui, oggi non sarei qui. Non è stato il mio allenatore: è stato il mio salvatore”.
L'amicizia di Tiafoe, la spinta di Murray
Ripescando alcune sue dichiarazioni del passato, si scopre che era un ammiratore di Rafa Nadal, poi aveva virato su Novak Djokovic. Adesso si è scelto un idolo ancora più accessibile: Frances Tiafoe.
Il motivo è semplice. Entrambi hanno dovuto superare ostacoli mica male per diventare professionisti. Oggi Tiafoe è un giocatore affermato, mentre Jubb non è ancora entrato tra i top-400 ATP. “Ho iniziato a seguire Frances quando avevo 13-14 anni.
L'ho seguito perché pensavo di potermi paragonare alla sua storia, alla sua educazione – continua Jubb – ha trovato il modo per farcela, dandomi la passione e la spinta necessaria per crederci”. I due sono diventati ottimi amici: l'anno scorso, quando ha saputo che Jubb avrebbe giocato a Wimbledon, l'americano ha chiesto che i due armadietti fossero vicini.
Nonostante le tentazioni di un maxi prize money, Jubb aveva resistito e non era diventato professionista. Ha giocato poco: per questo, le sua potenzialità sono ancora da scoprire. Di sicuro ha fatto ottime cose a livello NCAA: partito come numero 6 della sua squadra, ha vinto dieci partite di fila.
Nel secondo anno è diventato il numero 1... e ci è rimasto. Ha coronato il suo status vincendo i Campionati NCAA, prendendosi la rivincita su Nuno Borges, contro cui aveva perso un paio di volte durante la stagione regolare.
“Quando Paul è arrivato negli Stati Uniti, sembrava un bambino a Disney World - ricorda Goffi – ha sempre sognato di diventare un tennista e non si è mai sottratto al duro lavoro”. La stagione è andata perduta con la diffusione globale del COVID-19, ma Goffi rimane ottimista.
“Paul mi piace perché non dà niente per scontato. Vincere il Campionato NCAA è prestigioso, anche per via dell'albo d'oro, ma è stato solo l'inizio del suo percorso. Vuole diventare un campione, un vincitore Slam, quindi andrà avanti”.
Lo farà anche in onore ai suoi genitori: come detto, i loro nomi sono tatuati sulla costola sinistra. E sono circondati da nuvole e ali. “Vorrei che fossero ancora qui con me. Però, probabilmente, era quello che dovevo passare e quello che dovevo superare.
Sono grato a tutti quelli che mi hanno dato una mano lungo il mio percorso. Il mio più grande stimolo è far sì che tutto questo valga la pena, soprattutto per loro”. Quest'anno non ha ancora svolto attività internazionale, ma nel 2019 aveva chiuso alla grande.
Negli ultimi quattro tornei giocati, ha raccolto un titolo ITF (il secondo della sua carriera) a Cancun, più altre tre finali. Ma deve essere soltanto l'inizio. In fondo, Paul ha appena 20 anni. Nel frattempo, ha rinunciato alla carriera universitaria per diventare professionista e si è fatto convincere da Andy Murray: l'ex numero 1 del mondo lo ha chiamato per dargli una mano, lui ha scelto di farsi rappresentare dalla sua stessa agenzia: “77”.
Un passo fondamentale per concentrarsi sul tennis “Anche perché è stata dura non poter intascare i soldi che avevo guadagnato fino all'anno scorso. E comunque la laurea rimane un'opzione per il futuro”.
Tra l'altro, i soldi non sono più un grosso problema perché la LTA ha deciso di investire su di lui come “potenziale” top-100. A breve, si trasferirà a Londra per allenarsi presso il JTC Centre, ma non reciderà il legame con Goffi: di tanto in tanto, tornerà a lavorare con lui in South Carolina.
E non abbandonerà neanche nonna Valerie: durante il periodo di lockdown è rimasto dagli zii, ad Hull, non troppo ditante dalla sua casa. Si è preso cura di lei. Vuole iniziare a restituire quello che ha ricevuto.
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