Doping, 11 mesi a Jarry. Ma gli integratori “su misura” sono davvero necessari?
by RICCARDO BISTI | LETTURE 4086
“Jarry ha dimostrato la sua innocenza, però è stato sospeso per 11 mesi”. Non è il sito ufficiale del cileno, ma la versione in spagnolo del sito di ESPN. E allora emerge la curiosità di capire come mai il tribunale dell'ITF lo abbia comunque punito per essere risultato positivo a due test antidoping, svolti sul finire del 2019.
Quando uno sportivo risulta positivo e non ammette la sua colpa – ovvero nella stragrande maggioranza dei casi – l'opinione pubblica si divide in innocentisti e colpevolisti. Per fortuna, da qualche tempo, l'ITF ha scelto di pubblicare le sue sentenze.
In questo modo, chi ha voglia, può capire cosa sia realmente successo senza limitarsi a dichiarazioni di facciata, titoli sui giornali e sentenze social. Prima che l'ITF ufficializzasse la sanzione al nipote di Jaime Fillol (nostro avversario nella storica finale di Davis 1976), si sapeva soltanto che avevano trovato nelle sue urine una minima quantità di un paio di agenti anabolizzanti, nella fattispecie “stanozolo” e “ligandrolo”.
Il primo controllo era stato effettuato il 19 novembre 2019, durante le Davis Cup Finals. La notizia emerse alla vigilia dell'Australian Open e provocò l'immediata sospensione di Jarry. Il cileno si proclamò innocente, dicendo che da lì in poi avrebbe dedicato ogni sforzo per chiarire la situazione.
Nel frattempo aveva incassato la solidarietà decisa di Rafa Nadal, quella moderata di Novak Djokovic e quella indiretta di Dominic Thiem (che è allenato da un cileno, Nicolas Massu). “Il sistema antidoping è una farsa, perchè viviamo costantemente nel terrore di assumere un prodotto contaminato”.
A gennaio è partita l'indagine, sfociata nella sentenza depositata il 18 aprile e che difficilmente avrà un'appendice presso il CAS di Losanna. Ma vediamo cosa è successo. Prima cosa: il 16 dicembre 2019 (quando ancora non sapeva della positività), Jarry è stato sottoposto a un prelievo di sangue e urine che ha evidenziato la presenza delle stesse sostanze già riscontrate nel test di novembre.
Quando gli hanno comunicato la positività, l'ha subito ricondotta agli integratori su misura che, da circa un anno e mezzo, si faceva realizzare dal laboratorio “Orthofarma” di San Paolo, Brasile. Il giocatore ha provato di avere un legame con il Brasile sin dal 2017 e che il 25 ottobre 2019 gli erano stati prescritti gli integratori, preparati il giorno dopo e giunti a Madrid il 16 novembre.
Da allora, li ha assunti ogni giorno fino alla notifica. Quando un tennista si sottopone a un test, deve compilare un modulo denominato “Doping Control Form” (DCF), in cui è tenuto a segnalare tutti i prodotti e le sostanze prese negli ultimi sette giorni.
Se nel test di novembre aveva segnalato tre sostanze, il 16 dicembre non aveva scritto nulla. “Fino all'estate 2019 ero stato puntuale nella compilazione, poi ho smesso perché un addetto mi aveva specificato che non era necessario” si è giustificato Jarry.
La spiegazione non è piaciuta all'ITF, che raccomanda una precisa e attenta compilazione. In altre parole, l'omissione è stata valutata come “negligenza”. Una volta appresa la positività, Jarry aveva ancora due delle quattro bottigliette e le ha inviate a un laboratorio accreditato a Salt Lake City, negli Stati Uniti.
In effetti, da un'accurata analisi, è risultato che tali bottigliette fossero contaminate. Alla luce di questo, l'ITF ha contattato “Orthofarma” per avere spiegazioni. I brasiliani hanno chiesto i dettagli dei prodotti inviati a Jarry: dopo averli ottenuti, non hanno più risposto.
Alla luce di questo, il Tribunale ha concesso al giocatore la NON intenzionalità dell'assunzione. Prima vittoria per Jarry: da una possibile sanzione di 4 anni, il rischio massimo era stato ridotto a 2. Restava da capire il grado di negligenza per calibrare l'esatto ammontare della sanzione.
Jarry ha pienamente collaborato alle indagini, e non ha mai cercato di ottenere la formula magica “No Fault or Negligence”, che probabilmente lo avrebbe salvato. Tuttavia, ha cercato di dimostrare di aver fatto il possibile per accertarsi di non assumere sostanze vietate.
Nel 2017, il suo preparatore atletico Paulo Santos lo mise in contatto con un medico brasiliano (il cui nome non viene mai fatto), il quale ha iniziato a prescrivergli una serie di integratori. Nel febbraio 2018, tuttavia, è successo qualcosa: i casi di Thomaz Bellucci e Marcelo Demoliner, che si rifornivano nello stesso laboratorio di Jarry (a Rio de Janeiro) lo convinsero a cambiare fornitore.
Entrò in contatto con Ricardo Diaz Savoldelli, medico del team brasiliano di Coppa Davis. Su espressa richiesta del clan Jarry, quest'ultimo si è recato presso il laboratorio Orthofarma per valutarne l'operato: test superato.
Da allora Jarry si è affidato alla farmacia paulista, oltre a chiedere conferma ai suoi medici sulla legittimità dei contenuti degli integratori, e alla personale verifica delle sostanze prima di ingerirli. In effetti, nella confezione non erano segnalati prodotti vietati.
Fin qui l'ITF accetta il suo ragionamento, ma gli imputa scarsa attenzione. In data 12 settembre 2019 (in inglese, pochi giorni dopo in spagnolo), i giocatori sono stati informati sull'area riservata del sito ATP sul rischio di affidarsi ai laboratori sudamericani perché c'erano stati parecchi casi, non solo nel tennis.
Per questo, i giocatori “soprattutto sudamericani” avrebbero dovuto prestare “massima attenzione” nell'assumersi il rischio. Jarry ha sostenuto di non aver letto la comunicazione e di non essere al corrente dei recenti casi di posività (in particolare Franco Agamenone e Camilla Bossi).
Secondo il Tribunale si è trattato di una negligenza, che non può essere “coperta” in nessun modo dal suo costante affidamento ai medici. “Inoltre la visita di Savoldelli al laboratorio era molto datata, essendo avvenuta nel febbraio 2018, quindi non poteva più essere invocata”.
Per questo, quella di Jarry è stata definita una negligenza “non significativa”. Al momento di stabilire la sanzione si sono rifatti alle precedenti squalifiche, la cui durata oscillava tra i 3 e i 10 mesi.
La colpa di Jarry è stata ritenuta superiore perché aveva avuto un maggiore preavviso per evitare di cadere nell'infrazione. “Inoltre, sambra che le sanzioni non siano state sufficienti per scoraggiare i giocatori all'utilizzo di questi integratori”.
Per questo hanno proposto 11 mesi di squalifica, prontamente accettati da Jarry, il quale ha rinunciato alla possibilità di un ricorso al CAS di Losanna. In virtù di questo, la sanzione parte dal giorno dell'ultimo test positivo (16 dicembre 2019).
Insomma, il cileno potrà tornare a giocare il 16 novembre. Considerando la sospensione del circuito per l'emergenza COVID-19, gli è andata piuttosto bene. Qualora non si dovesse più giocare nel 2020, Jarry potrebbe tornare avendo perso poche settimane di tornei.
In teoria, potrebbero appellarsi la WADA e l'agenzia antidoping cilena (in quel caso, Jarry avrebbe il diritto di difendersi), ma tutto fa pensare che non sarà così. Detto che potrà riprendere ad allenarsi il luoghi “ufficiali” già a settembre, due mesi prima della scadenza, il n.89 ATP ha affidato a Instagram i suoi pensieri.
“Abbiamo dimostrato che la contaminazione è avvenuta nel laboratorio brasiliano in cui si producevano le vitamine. Per questo accetto la sanzione di 11 mesi, perché allungare il procedimento porterebbe soltanto stress e incertezza sul mio futuro.
Però vorrei sottolineare che ho cercato di essere il più professionale possibile: non ci sono dubbi che abbia provato ad accertarmi sulla trasparenza del laboratorio. Prima di affidarmi a loro ho valutato la decisione con tre dottori, e uno di loro lo ha visitato personalmente per verificare che fosse tutto ok.
Purtroppo non è stato sufficiente e ho messo a rischio la mia salute e la mia carriera. È una lezione importante per il futuro”. Ci rendiamo conto che la ricostruzione possa sembrare un po' complessa, ma era l'unico modo per fornire al lettore un corretta chiave di lettura.
Ognuno potrà farsi la propria idea sulla condotta di Jarry, ma i fatti sono principalmente tre: 1) In effetti, come dice Thiem, le regole antidoping sono talmente stringenti da togliere serenità ai giocatori.
La buccia di banana è sempre dietro l'angolo, e spesso ci si può scivolare senza la reale intenzione di barare. 2) Jarry ha effettivamente peccato di superficialità. Per quanto la sua ricostruzione sia credibile, i tanti casi di positività di tennisti brasiliani avrebbero dovuto metterlo sull'attenti, a maggior ragione se nel 2018 aveva cambiato laboratorio proprio per non incorrere in sanzioni.
3) Ci si domanda perché così tanti giocatori prendano integratori “su misura” senza accontentarsi delle tante soluzioni disponibili in commercio. I professionisti hanno esigenze particolari, ok, però traspare la sensazione che si cerchi sempre di arrivare al limite del lecito per ottenere un qualche vantaggio.
Quando si danza su un confine, talvolta, il rischio di oltrepassarlo è più che concreto. Proprio come accaduto a Nicolas Jarry.