L'ha cercata persino la CNN. D'altra parte, il grido di dolore di Sofia Shapatava è stato forte e fragoroso. “Metà dei professionisti rischiano di smettere di giocare”. La giovane russa, numero 371 WTA, è preoccupata per le gravi conseguenze che potrebbe avere lo stop per coronavirus.
Per questo, ha lanciato una petizione rivolta a WTA, ITF e ATP per chiedere sostegno istituzionale. Un contributo che permetterebbe una dignitosa ripartenza a centinaia di giocatori. Nelle condizioni attuali, il futuro è nebuloso.
La Shapatava è bloccata a Tbilisi, nella casa dei genitori, priva di giardino o cortile. Per restare in forma, si deve accontentare di un parcheggio. “Il massimo che puoi fare è sporgerti dalla finestra” racconta la georgiana, già certa di non poter giocare a tennis fino al 13 luglio.
Tuttavia, è probabile che il lockdown tecnico possa prolungarsi. Il COVID-19 ha già colpito la sua famiglia, uccidendo un membro della sua famiglia. “La cugina di mia madre si è infettata e lui è morto, è stata una brutta notizia per noi – ha detto – è stata una cosa molto triste perché lo conoscevo sin da bambina.
Tra l'altro conosco diversi giocatori italiani che sono bloccati a casa da più tempo di me e penso che per loro sia complicato. Sembra di trovarsi all'interno di un libro di fantascienza, siamo tutti abbastanza depressi”.
Oltre alle trepidazioni per il presente, c'è timore per il futuro. Una paura che l'ha spinta a lanciare la petizione su Change.org. L'obiettivo era arrivare a 2.500 sottoscrizioni: nel momento in cui scriviamo, ne ha raccolte 2.153.
“Stiamo vivendo una situazione dura e preoccupante”. Come è noto, i tennisti non guadagnano un salario fisso e non dipendono da nessuna organizzazione. Anzi, sono costretti a pagare l'affiliazione ai rispettivi sindacati: nei giorni scorsi vi abbiamo raccontato il curioso caso della WTA, che ha scelto di rimborsare le quote associative soltanto a chi ha aderito alla "full membership" o alla "associate membership", senza restituire il contributo di 250 dollari a chi paga per accedere all'area riservata del sito WTA e versa cifra analoga per iscriversi a qualsiasi torneo del tour.
Nel caso specifico, la Shapatava non paga l'attrezzatura (abbigliamento e racchette), ma l'accordo si ferma lì: niente soldi. E le va ancora bene: se di solito i tennisti pagano i loro coach, mentre lei è aiutata dal tecnico tedesco Tim Schultz.
Insomma, sta a casa e non ha particolari spese. “Ma ho un paio di amiche che non sanno come fare per pagare l'affitto. Per questo, ho pensato che la petizione potesse essere un modo per farsi ascoltare. Non faccio richieste economiche, vorrei soltanto attirare l'attenzione dell'ITF nella speranza che possa darci una mano.
Chi, se non loro? In fondo paghiamo multe per qualsiasi cosa: se ci comportiamo male in campo, se ci ritiriamo in ritardo... In un certo senso apparteniamo a loro”. L'idea della Shapatava nasce lo scorso marzo, quando si trovava in Brasile per preparare un torneo ITF.
Da un giorno all'altro, ha scoperto che la stagione era stata sospesa. Però aveva speso molti soldi per arrivare fino a là. “E non siamo stati ripagati – continua – inoltre non possiamo nemmeno giocare le gare a squadre, che rappresentano la nostra maggiore fonte di guadagno”.
Forte di un tramite come la CNN, la richiesta della Shapatava è arrivata all'ITF, che ha fornito una risposta scritta. La federazione internazionale dice di star implementando una serie di misure per salvaguardare i posti di lavoro, a partire da uno schema di tutela per i dipendenti e l'utilizzo di un fondo di riserva.
“Inoltre stiamo esaminando varie opzioni per sostenere nazioni e giocatori: daremo maggiori informazioni quando avremo completato il processo”. Come è noto, anni fa l'ITF aveva effettuato un indagine che stabiliva la linea di confine per evitare di andare in passivo.
Era emersa la 336esima posizione tra gli uomini e la 253esima tra le donne. Altre fonti sostengono che che un tennista debba guadagnare circa 200.000 dollari all'anno per poter sopravvivere. In tutta la sua carriera, la Shapatava ha intascato 354.725 dollari: pare chiaro che la sua (come per molti altri) sia una lotta per la sopravvivenza.
Nel solo 2020, il suo prize money non ha ancora raggiunto i 3.000 dollari. Non ha mai raccolto più di 926 dollari in una volta. Per mantenersi, gioca le gare a squadre in Francia e in Germania. “Questo tipo di competizioni sono il reddito principale per tutti i giocatori fuori dai primi 250: di solito si guadagna di più di quanto si ottiene in sei mesi di tornei”.
Tuttavia, la battaglia della Shapatava non mira al proprio orticello. Sta lottando per il futuro, per garantire migliori condizioni a chi verrà dopo. “Per questo mi sto impegnando così tanto per farmi ascoltare”.
In effetti, la struttura piramidale del tennis, anche e soprattutto nei guadagni, si è estremizzata con l'incubo COVID-19. I più forti guadagnano moltissimo, mentre gli altri chiudono stagioni su stagioni in passivo.
La scorsa settimana, Patrick Mouratoglou ha espresso la sua opinione via Twitter, affermando che in questo periodo si sta amplificando la “disfunzione” del sistema. Il presidente WTA, Steve Simon, ha detto che auspica un sistema in cui tutti, “specialmente i più bisognosi”, possano essere compensati nel modo in cui auspicano.
“Tuttavia i costi sono molto alti e la WTA, purtroppo, non si trova nella posizione finanziaria per poter fare più di tanto”. L'unico gesto concreto, qualora si potesse riprendere a giocare, è un prolungamento della stagione nei mesi di novembre e dicembre.
Secondo la Shapatava, un altro problema è l'assenza di solidarietà e spirito di gruppo. La natura individuale del tennis porta a rivalità, non certo ad amicizie. “Questo problema ci sarà per sempre, e sono preoccupata per quello che potrà succedere nei prossimi 2-3 mesi.
La disparità tra i primi e tutto il resto è enorme. Soltanto 100 persone, tra uomini e donne, riescono a guadagnare. Ma nelle classifiche mondiali ci sono 3.000 giocatori. Se il 50% dei giocatori dovesse smettere, non credo che il tennis sopravviverà.
Capisco che la maggior parte dei biglietti vengano venduti nei grandi eventi, ma anche i tornei piccoli generano un importante giro d'affari. C'è lo streaming, il livescore, tante persone lavorano nel settore, dagli organizzatori agli ufficiali di gara.
Da questi tornei, tra l'altro, arrivano soldi per le varie organizzazioni. I più forti sono splendidi rappresentanti del nostro sport, ma c'è un 96,5% di giocatori che sostengono il sistema. Sono importanti e devono continuare ad esistere”.
La Shapatava frequenta il circuito da quindici anni e continua a giocare per passione, nonostante abbia avuto la possibilità di intraprendere la carriera di medico. Tuttavia, questo stop rischia di mettere a repentaglio il suo futuro agonistico.
“I miei genitori non sono più giovani, ho le bollette da pagare, persone da sostenere e il mio allenatore non è certo miliardario, dunque non può aiutarmi per sempre. La mia classifica non mi permette granché: se non gioco o non faccio lezioni, non sarò in grado di riprendere a viaggiare”.
Un piccolo grande dramma, perché la scelta del ritiro è un passaggio delicato per molti giocatori. Vorrebbero chiudere alle loro condizioni, senza che sia un fattore esterno a decidere. Spesso sono gli infortuni, ma nessuno pensava a un'emergenza sanitaria.
Eppure, a sentire la Shapatava, potrebbe essere il destino di molti. “La prima cosa, per me, sarà trovare un modo per guadagnare qualche soldo, poi potrei pensare di riprendere in autunno. Pochi potranno cominciare subito: prima bisogna lavorare, mettere qualcosa da parte e poi iniziare a spendere”.
C'è poi un altro aspetto da considerare, spesso sottovalutato: quello mentale. “Molti potrebbero lasciar perdere, perché la pausa fa vedere le cose in modo diverso. Non è detto che si voglia partecipare a tornei in cui sai già che non guadagnerai nulla”.
Secondo la Shapatava, molti non saranno in grado di sostenere questo peso. "Non so se avrò la forza di riprendere, perché il tennis ti porta via moltissimo. E ho i miei dubbi anche per gli altri, soprattutto chi aveva problemi fisici o doveva farsi continuamente i conti in tasca”. Uno scenario desolante.