Ricomparsa più o meno dal nulla, o meglio, dal dimenticatoio, Anna-Lena Friedsam ha ripreso a far parlare di sé al torneo WTA di Lione, uno degli ultimi a completarsi prima dello stop. Dopo un primo turno di routine (ma impreziosito da un tweener) contro Anastasiya Komardina, ha colto due due vittorie di prestigio contro Kristina Mladenovic e Daria Kasatkina.
Si è fermata a un passo dal titolo, arrendendosi soltanto al decimo game del terzo set contro Sofia Kenin, recente vincitrice dell'Australian Open. Per la tedesca era la seconda finale WTA dopo quella, ormai data, persa nel 2015 a Linz.
Poco importa: con i punti intascati in Francia, si è riportata a ridosso delle top-100. “Finalmente sono tornata” sentenzia la 26enne tedesca, reduce da due operazioni alla spalla negli ultimi tre anni. “A Lione mi sono sentita davvero bene – racconta la Friedsam – già dal secondo turno, contro la Mladenovic, sapevo che avrei dovuto fare del mio meglio.
Lei è molto nota in Francia, aveva il tifo a favore, quindi ho spinto al massimo. Da quel momento in poi, ho giocato il mio miglior tennis”. Una svolta improvvisa, forse inattesa: soltanto un paio di settimane prima, aveva perso contro la 17enne Clara Tauson (ex n.1 junior) al secondo turno del torneo ITF di Glasgow, dal misero montepremi di 25.000 dollari.
La novità del 2020, in casa Friedsam, è il nuovo assetto del suo team. La Friedsam è allenata da quasi cinque anni da Sasha Mueller. “Lo conosco da molto tempo, mi ha aiutato in molte situazioni, compresi gli infortuni, e per me è più di un allenatore” dice la Friedsam.
Tuttavia, Mueller non era più in grado di viaggiare come un tempo. Per questo, nel 2019 ha viaggiato spesso da sola e i risultati ne hanno risentito. Dopo un periodo di riflessione e ricerche, ha scelto Robert Orlik per farsi accompagnare nei tornei.
La collaborazione con Mueller, tuttavia, non è archiviata: quando torna a casa, i due coach lavorano a braccetto. “Sapevo di dover migliorare nei tornei, dunque è bello avere una nuova figura nel team – racconta la Friedsam – mi offre nuovi punti di vista, forse ha individuato una nuova strada per il mio gioco.
Robert e Sasha vedono il tennis in modo diverso, ma sono io a scegliere la direzione da prendere. La possiamo scoprire insieme, credo che sia meglio così che con una sola opinione”. Non è la prima volta che una giocatrice sceglie di farsi allenare da due coach: un paio d'anni fa aveva fatto qualcosa del genere Timea Bacsinszky.
La svizzera era convinta di essere un'apripista, certa che sarebbe diventata una moda. In effetti, oggi c'è il caso della top-player Karolina Pliskova, seguita da Olga Savchuk e Daniel Vallverdu. La Friedsam ritiene che sia ancora presto per dare un'opinione.
“Però i risultati stanno arrivando, è innegabile. Sasha lavora soprattutto sulla parte atletica e quella mentale: mi conosce e sa come farmi arrivare in buona forma ai tornei. Al contrario, Orlik si concentra sulla parte tecnico-tattica.
Penso che avere due prospettive del genere sia molto utile”. Come detto, Mueller è la figura più importante nella carriera della ragazza di Neuwied, cittadina di medie dimensioni a due passi da Bonn, capitale amministrativa dell'ex Germania Ovest.
La Friedsam ha avuto un'ottima carriera junior, poi ha dato il meglio di sé intorno ai 21-22 anni. Molti la ricordano negli ottavi all'Australian Open, quando arrivò a un passo dal successo contro Agnieszka Radwanska.
Si portò avanti 5-2 al terzo prima di soccombere, colta dai crampi, tra le lacrime. Lungo il percorso, aveva battuto la nostra Roberta Vinci. Aveva artigliato le top-50 ed era in ascesa, ma il dolore alla spalla era sempre più forte.
È stata anche sfortunata, vittima diagnosi sbagliate: dopo lo Us Open 2016 decise di fermarsi ed effettuare riabilitazione fino a Natale, ma non c'è stato niente da fare. Allora decise di sottoporsi alla prima operazione, nonostante le avessero diagnosticato un “semplice” edema osseo.
Soltanto allora, i medici si resero conto che aveva il tendine rotto. “Me l'hanno sistemato, ho aspettato nove mesi e sono tornata nel settembre 2017. Tuttavia, quattro mesi dopo ho sentito di nuovo dolore”. Il chirurgo che aveva effettuato la prima operazione era convinto che il tendine infiammato si sarebbe rigenerato: non è andata così e allora, inevitabile, è arrivata la seconda operazione.
Curiosamente, il secondo stop è stato meno complicato da affrontare. “Non ho passato bei momenti, ma ho cercato di vivere alla giornata e prendere il meglio da ogni singolo giorno. Devo dire che ha funzionato. Dopo il primo intervento volevo tornare il prima possibile, avevo fretta, mentre dopo il secondo sapevo cosa avrei dovuto vivere ed ero più rilassata.
Ho dato alla spalla tutto il tempo necessario per recuperare”. Durante lo stop, Anna-Lena ha potuto dedicarsi alla passione per la cucina, specializzandosi in qualcosa che ama particolarmente: il curry thailandese. “Adoro le spezie fresche e gli ingredienti vari, dunque mi piace prepararlo quando sono a casa”.
Dalla cucina al salotto il passo è breve: durante la pausa si è dedicata a un'altra passione, i documentari sportivi. In “Eat. Race. Win”. ha messo insieme le due passioni, poiché nel filmato la chef Hannah Grant racconta il dietro le quinte di una squadra durante il Tour de France 2017.
Suo malgrado, la Friedsman ha scoperto parecchio tempo libero a causa dello stop per il coronavirus. Quando le si chiedono i prossimi obiettivi, sottolinea che ciò che conta è riprendere il prima possibile a giocare.
D'altra parte, il traguardo principale è più o meno raggiunto: voleva raggiungere una classifica sufficiente per entrare in tabellone negli Slam. Sono bastati un paio di mesi e l'obiettivo è pressoché archiviato.
L'attuale 106esima posizione è la migliore in oltre tre anni. Per il resto, non eccede in sogni. “Mi basterebbe tornare ai livelli del 2016. Passo dopo passo, sono convinta di poter giocare quel tennis ma ho bisogno di tempo e solidità.
È il mio obiettivo principale”. Ai tempi del suo magico Australian Open, qualcuno le aveva pronosticato addirittura un futuro da top-10. “Fu bello essere percepita in quel modo, ma per arrivare lassù ci vuole ben altro.
Io l'ho dimostrato solo per qualche partita, mentre dovrei farlo per un anno intero”. Col fisico a posto e la strategia del doppio coach... Chissà.