Nonostante l'angoscia, in questi giorni si è anche scherzato. Il mondo-social ha ironizzato sul fatto che Roger Federer “avesse previsto tutto”, giacché lo svizzero si è operato al ginocchio poco prima che l'epidemia coronavirus si espandesse su scala globale.
Il tennis, dunque, potrebbe riprendere proprio quando Roger sarà nuovamente abile e arruolato. Ma per un Federer che “ride”, ci sono parecchi giocatori che piangono. A parte il dibattito sulle classifiche ATP-WTA (i punti ottenuti l'anno scorso saranno detratti, oppure i ranking rimarranno congelati?) ci sono giocatori più colpiti di altri dal forzato stop dell'attività agonistica.
Tra loro c'è Arthur Rinderknech, 24enne francese sconosciuto ai più che ha avuto un travolgente inizio di stagione, raggiungendo tre finali Challenger e vincendone un paio, a Rennes (davanti a un pubblico straordinario: ad assistere alla finale c'erano 3.000 persone) e a Calgary.
Con questi risultati è salito al numero 160 ATP, ma impressiona la posizione nell'ATP Race, la classifica che tiene conto dei soli risultati ottenuti nel 2020. Rinderknech è in 57esima posizione, quarto miglior francese alle spalle di Gael Monfils, Ugo Humbert e Benoit Paire.
Davanti a lui, in 56esima posizione, c'è un campione come Marin Cilic. Il croato ha raccolto un punto più di lui. E Fabio Fognini, in 54esima posizione, appena 6. “Oddio, fa un po' sorridere perché è pura aneddotica – dice Rinderknech – io ho vissuto alcune buone settimane mentre alcuni ottimi giocatori non hanno partecipato a tornei importanti.
Però è coinvolgente e mi fa venire voglia di salire ancora. È una grande motivazione”. La storia di Rinderknech è di quelle che sentiremo sempre più spesso, poiché il sistema universitario americano è diventato un serbatoio di ottimi giocatori, non soltanto statunitensi.
Figlio di un'ex giocatrice professionista (Virginie Paquet, n.208 WTA nel 1989) si è trasferito negli Stati Uniti per frequentare l'università. Ha trovato prosto presso la Texas A&M University: mentre prendeva una laurea in economia, ha partecipato alle varie competizioni NCAA.
“Quando ho iniziato ero il numero 4 o 5 della mia squadra, ma dopo un paio d'anni ero già il numero 1. Nella classifica statunitense sono entrato tra i primi cinque, allora mi sono reso conto di avere il livello necessario per essere almeno n.300-400 del mondo”.
Soltanto dopo aver intascato la laurea, ha scelto di provarci sul serio con il tennis, sia pure a tempo determinato. Quando ha scelto di diventare professionista, nel 2018, si è concesso due anni di tempo per “sfondare”.
Per adesso va benissimo. “A 18 anni era abbastanza lucido da rendermi conto che non ero mentalmente pronto – racconta – credo che il mio livello non mi avrebbe permesso di andare oltre il n.800-900. Con quei numeri, nel tennis non vali niente.
È soltanto una perdita di tempo e denaro. L'opzione migliore era continuare a studiare e ottenere un titolo di studio riconosciuto in tutto il mondo e, allo stesso tempo, darmi la possibilità di progredire come tennista e magari provarci se un giorno mi fossi sentito pronto”.
E allora si è spostato negli Stati Uniti, laddove ha scoperto una mentalità tutta nuova, in cui il sistema educativo è basato sul successo degli atleti. “Nessuno ti giudica e remano tutti dalla stessa parte, garantendo il pieno sostegno.
Gli americani vanno pazzi per i loro team universitari e fanno tutto il possibile per aiutarli. Inoltre, grazie alla borsa di studio, non ho dovuto pagare quasi nulla per quattro anni”. La routine all'università era massacrante: la giornata iniziava alle 6 del mattino con un'ora o due di preparazione atletica, poi 2-3 ore di lazione e una sessione individuale con un coach.
Dopo pranzo, allenamento di gruppo per tre ore, cena e due ore di studio prima di tuffarsi a letto. Tutti i giorni, dalle 6 alle 21. E da gennaio a maggio c'erano le competizioni. A giudicare dagli ultimi risultati, l'investimento ha pagato.
“In effetti ho impiegato pochi mesi ad entrare tra i top-400 ATP, mentre a diciotto anni mi sarebbe servito molto più tempo”. La federtennis francese non lo ha mai perso di vista: al ritorno in Francia, quando è diventato professionista, lo hanno accolto presso il Centre National d'Entrainement, nei pressi del Roland Garros.
Ci è rimasto per un anno, mentre adesso viaggia da solo insieme a coach Sebastien Villette, condiviso con l'altro giocatore (e suo caro amico) Manuel Guinard. D'altra parte, il portafoglio va sempre tenuto sotto controllo e – quando possibile – è meglio dividere le spese.
“Ho investito su un allenatore e per ora sta andando bene” dice Rinderknech, che nei primi due mesi del 2020 ha già intascato 23.000 dollari, più dell'intero prize-money conquistato nel 2019. “Ma non è per questo che devi esagerare o montarti la testa.
Se ci sarà la possibilità di giocare nei tornei ATP 250 o 500 lo farò, soprattutto per mettermi alla prova, ma ci sono ancora alcuni gradini da scalare. È una situazione particolare: non sono molto lontano, ma si tratta di una salita molto complessa.
Più ti avvicini alla vetta, più i punti sono difficili da ottenere..”. . Nato a Gassin (paesucolo sul mare a due passi da St. Tropez), ha vinto il suo primo titolo un migliaio di chilometri più a nord, a Rennes.
L'ultimo francese a imporsi era stato Nicolas Mahut nel 2013. “È stata una settimana incredibile, se lunedì mi avessero detto che sarei arrivato in fondo non ci avrei creduto” disse il francese, che prima di allora non avai mai raggiunto neanche una semifinale nel circuito Challenger.
Sullo slancio si è spostato in Canada: subito finale a Drummondville, persa per un soffio contro il connazionale Maxime Cressy, ma si è preso la rivincita la settimana dopo, superandolo a Calgary al termine di una dura battaglia.
Come se non bastasse, si è aggiudicato anche il doppio insieme a Guinard. “Devo approfittare di questo momento perché so che arriveranno tempi difficili, in cui dovrò continuare a lavorare”.
È la mentalità giusta per crescere, e magari diventare il numero 4 di Francia anche in altre classifiche, ben più significative che l'ATP Race dopo appena due mesi di tornei.