Giannessi, che ingiustizia! E adesso chi lo ripagherà?



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Giannessi, che ingiustizia! E adesso chi lo ripagherà?

Non c'erano soltanto 7.000 euro in palio, nel match tra Alessandro Giannessi e Duckhee Lee. Non c'era soltanto la banale differenza di prize money tra primo e secondo turno delle qualificazioni dell'Australian Open (20.000 dollari australiani contro 32.500): c'erano in palio prestigio, la prospettiva di andare avanti e magari affrontare con la dovuta serenità la stagione.

Cosa è successo, lo sapete. Sul 4-0 per Giannessi nel tie-break decisivo, il coreano è stato colpito dai crampi e si è accomodato in panchina, attendendo l'arrivo del fisioterapista. Era evidente che si trattasse di crampi, condizione medica che ha una regolamentazione tutta sua.

Ma ci arriveremo. Vista la sua particolare condizione di sordomuto, Lee fatica a comunicare. Chi ha visto il match in diretta, tuttavia, lo ha visto annuire quando il fisioterapista gli ha chiesto testualmente “massage?”.

Gli rimane un alibi, il dubbio che non abbia capito esattamente cosa gli sia stato chiesto, mentre non è pensabile (e nemmeno accettabile) che un professionista del suo livello, sia pure nella sua particolare condizione, non conosca il regolamento.

E allora, in questa storia che scatenato centinaia di commenti sui social, a volte aspri e talvolta poco informati, bisogna elencare i colpevoli. E il principale, ci spiace dirlo, è proprio Duckhee Lee, numero 233 ATP, prossimo avversario dell'Italia in Coppa Davis.

Si fosse attenuto al regolamento, sotto 4-0 e vittima di un attacco di crampi, non avrebbe mai ricucito lo svantaggio. Invece "ci ha provato" e, grazie alla complicità degli ufficiali di gara, si è preso una pausa di oltre 5 minuti, spezzando il ritmo a Giannessi e seminando mille dubbi nella sua mente, rovesciando l'inerzia psicologica dell'incontro.

Ma torniamo al regolamento: i crampi non possono essere oggetto di un medical time out. Si possono trattare, ci mancherebbe, ma soltanto ai cambi di campo o al termine di un set, entro i limiti delle pause prestabilite. Non possono essere oggetto, come dire, di un trattamento autonomo.

C'è però una scappatoia: soltanto il fisioterapista può stabilire la tipologia di problema. Qualora il crampo sia inserito in una condizione medica generale, allora può essere concesso il MTO. Detto che il giocatore può inventarsi qualsiasi malanno per poi farsi massaggiare le gambe, non è questo il caso.

Il fisioterapista ha trattato Lee, consentendogli di recuperare energie fisiche e mentali, mentre Giannessi schiumava rabbia e chiedeva l'intervento di un ufficiale di gara. È arrivato un referee, si è avvicinato alla panchina di Lee, ha scambiato due parole con il fisioterapista e gli ha lasciato completare il trattamento.

Al rientro, Lee ha ripreso a correre normalmente. Questo ha mandato in cortocircuito la mente di Giannessi: lo spezzino ha resistito fino al 7-4 (col format tradizionale del tie-break avrebbe vinto la partita...), poi ha perso sei punti di fila prima dell'esplosione di rabbia che è già diventata virale.

Ad acuire il nervoso, l'incredibile dritto in corsa sul 7-7 che ha garantito il sorpasso a Lee. Inizialmente chiamato fuori, grazie a occhio di falco abbiamo visto che aveva pizzicato la riga. E allora è tempo di processi: di chi è la colpa? Chi rimborserà Giannessi per l'evidente torto subito? Ci saranno provvedimenti nei confronti degli ufficiali di gara che hanno permesso questo scempio? La trasferta in Australia è costosissima, peraltro per “Gianna” è stata particolarmente impegnativa perché è transitato da Perth, laddove ha fatto parte del team azzurro di ATP Cup.

L'Australian Open era una buona occasione per intascare punti e fiducia in vista dei primi impegni sulla terra battuta, oltre a una grande chance economica. Parliamoci chiaro: gli Slam sono la principale fonte di guadagno anche per i tennisti tra la 100esima e la 200esima posizione.

Nonostante la sconfitta (e al netto di tasse e spese), perdendo al primo turno delle qualificazioni, lo spezzino ha intascato quanto prenderebbe vincendo un top Challenger, quelli con oltre 100.000 dollari di montepremi. La sproporzione economica è impressionante, al punto che tornano in mente le parole di Federico Gaio: lo scorso anno avevamo notato come fosse piuttosto indietro nella classifica dei guadagni, nonostante avesse giocato una buonissima stagione.

C'era una differenza di circa cento posizioni (era numero 150 ATP, ma intorno alla 250esima posizione nel ranking dei prize money). “E così perché ho giocato male negli Slam” rispose il faentino. Per questo, la rabbia e il disordine verbale di Giannessi sono pienamente comprensibili.

Gli Slam sono diventati troppo importanti per ogni tennista (vedi quanto accaduto alla Jakupovic, collassata sul campo pur di provare a giocare un match per lei molto importante), quindi è comprensibile la sua frustrazione per aver subìto un'ingiustizia nell'occasione più importante.

Giannessi ha certamente sbagliato a non stringere la mano all'avversario e al giudice di sedia, ma la sua reazione è stata umana, comprensibile. Avrebbe dovuto vincere la partita? Certo, ci mancherebbe. Ma chiunque ha giocato sa quanto la mente possa offuscare e inquinare i pensieri di un tennista, specie quando è convinto di aver subito un'ingiustizia.

La storia è piena di casi del genere: non bisogna andare neanche troppo in là per ricordare l'ultimo, proprio in Australia, quando Pablo Carreno Busta andò fuori di testa per un evidente torto subito nel tie-break del quinto set contro Kei Nishikori (fu costretto a rigiocare un punto che invece gli spettava).

Tra le qualità di un campione c'è quella di saper dimenticare gli episodi negativi e ripartire come se niente fosse. Ma è una dote rara, e non sempre è facile ignorare i torti. Soprattutto quando sono così evidenti. Visto che gli organi di governo tennistico sono stati molto severi con alcuni ufficiali di gara, arrivando a licenziare un arbitro perché aveva rilasciato interviste “non autorizzate”, c'è da augurarsi che siano altrettanto severi con chi ha permesso quanto accaduto sulla 1573 Arena di Melbourne.

Quanto a Duckhee Lee, beh, la sua particolare condizione non giustifica comportamenti antisportivi. Lui ci ha provato e gli è andata bene: non potrà essere vittima di sanzioni, ma meriterebbe una grossa tirata d'orecchi sia dagli ufficiali di gara che dal suo staff.

La sportività è una virtù che vale ben più dei soldi in palio. Anche in uno Slam.

Alessandro Giannessi Duckhee Lee