Iron Duckworth: cinque operazioni, zero sponsor... ma torna tra i top-100!



by   |  LETTURE 4585

Iron Duckworth: cinque operazioni, zero sponsor... ma torna tra i top-100!

L'ultimo colpo della sua stagione è stato un passante di rovescio, vincente, che gli ha permesso di battere Jay Clarke e vincere il suo quarto ATP Challenger, sul (molto) veloce cemento indiano di Pune. Quando si è reso conto di aver vinto, James Duckworth si è sdraiato per terra, ha iniziato a scalciare in segno di gioia e poi si è messo a piangere di felicità, coprendosi il volto con un asciugamano.

La gente lo ha applaudito, anche se durante il KPIT-MSLTA Challenger non aveva fatto molto per farsi amare. Dopo il successo contro Sasikumar Mukund nei quarti si era portato un dito sulle labbra per mettere a tacere il pubblico indiano, imitando il famoso gesto di Tomas Berdych a Madrid dopo la vittoria su Nadal.

In semifinale ha protestato rumorosamente per un presunto errore ai suoi danni contro l'idolo di casa Ramkumar Ramanathan. E anche in finale, contro Jay Clarke, era piuttosto nervoso. Ma ci sono ottime ragioni per giustificare il turbinio di emozioni: è stato il più vincente dell'anno nel circuito Challenger, con 4 titoli (prima di Pune si era imposto a Bangkok, Baotou e Playford) e due finali, per un totale di 49 partite vinte.

Dopo trenta mesi ha rimesso piede tra i top-100 ATP, esattamente in centesima posizione, sufficiente per entrare nel tabellone principale dell'Australian Open e permettersi finalmente un coach. Il suo fisico fragile lo aveva cacciato via dal tennis a suon di infortuni.

Una serie impressionante di rogne, sfociate in cinque interventi chirurgici in poco più di un anno, tra il gennaio 2017 e il febbraio 2018. Una sfortuna da record: piede destro, spalla destra, piede destro, ancora 'sto benedetto piede (è stato vittima di una frattura da stress) e – come se non bastasse – anche il gomito.

Ha perso un anno e mezzo: al rientro è dovuto ripartire da solo, senza lo straccio di uno sponsor. La partita contro Jay Clarke aveva un valore immenso: significava top-100 (gran risultato, per chi non è mai andato oltre il n.82) e un posto nel main draw dell'Australian Open, senza bisogno di aiuti.

“Infatti ero estremamente nervoso - ha riconosciuto – ero già stato tra i primi 100, ma dopo cinque operazioni in poco più di dodici mesi, più la riabilitazione, la fisioterapia, il tempo trascorso in palestra e in campo...

tornarci significa davvero molto per me”. Lungo il periodo in cui dava dal tu ai medici di mezza Australia, ci sono stati momenti in cui ha pensato di smettere. Non vedeva miglioramenti al piede destro, nonostante le provasse tutte.

“È stata dura sul piano mentale, la mia famiglia mi ha dato un grande sostegno. Ero felice anche solo di tornare a giocare, ma ritrovare il livello di prima è straordinario”. “Duckman”, come viene soprannominato dagli amici, può ringraziare soltanto se stesso e la famiglia, perché nessuno lo considerava più degno di investimenti.

Eppure aveva avuto una buona carriera junior (è stato n.7 ITF e semifinalista al Roland Garros), salvo poi entrare tra i top-100 relativamente giovane, a 23 anni. Ma è rimasto senza sponsor, al punto da doversi comprare le racchette, e viaggia senza allenatore.

Nonostante il corpo sia inevitabilmente usurato, nel 2019 ha giocato più partite che in qualsiasi altra stagione. Quello giocato a Pune è stato l'ottavo torneo consecutivo. Ci ha messo tutta la grinta possibile, convinto che il tennis potesse tornare ad essere una fonte di guadagno.

“Quando entri tra i top-100 non è male perché hai accesso diretto a tutti gli Slam, con i relativi montepremi. Però è dura effettuare il passaggio da 200 a 100, devi raccogliere moltissimi punti, generalmente tra 550 e 600.

Non è facile, visto che vincere un Challenger come questo garantisce 80 punti. È un discreto bottino ma devi battere gente forte, magari anche qualche ex top-100”. Ce l'aveva fatta una volta, poi la sua carriera è deragliata.

Quando elenca le sue sventure, sembra di ascoltare un soldato appena rientrato dal fronte, una sorta di Vietnam tennistico. I guai sono iniziati dopo l'Australian Open 2017: “La prima operazione è stata necessaria perché mi ero procurato una frattura da stress all'osso principale del piede destro.

Un paio di mesi dopo mi sono operato alla spalla per estrarre un osso. Nel mese di agosto, il piede non migliorava. Come se non bastasse, ero stato colpito dal Neuroma di Morton, ovvero l'infiammazione di un nervo: ho dovuto tagliarne una parte.

All'inizio del 2018 mi sono tolto alcune ossa dal gomito... e giusto una settimana dopo ho dovuto fare altrettanto con il piede. Alla fine è stato un calvario di 18 mesi”. Quando un tennista del suo livello si fa male, non è solo una questione di salute.

Il malanno si estende al portafoglio, ma Duckworth (nato a Sydney ma ormai residente a Brisbane, laddove si allena presso l'Accademia Nazionale) è convinto di poter cambiare tutto nel 2020. “Intanto sto cercando un coach, è dallo Us Open che mi sto guardando intorno.

Entro qualche settimana vorrei trovare qualcuno che mi accompagni per la preparazione”. Ancora più urgente, tuttavia, è mettersi davanti al PC e scrivere ai suoi ex sponsor che è tornato tra i top-100 e, dunque, può valere la pena tornare a investire su di lui.

Nella speranza che lo ascoltino, James sta vivendo un'estate da favola: non dovrà partecipare agli Australian Open Play-Off, in cui i suoi connazionali si scanneranno per raccogliere una wild card. Lo scorso anno c'era anche lui e vinse il torneo, al termine di una dura finale contro Luke Saville.

In omaggio, ha pescato un primo turno contro Rafael Nadal. Coi sorteggi non gli gira bene, visto che ha già affrontato due volte Federer (Hopman Cup 2014 e Brisbane 2015) e aveva pescato Zverev a Wimbledon. Bazzecole, rispetto a quello che ha passato.

Le preoccupazioni sono alle spalle e, stavolta, a Melbourne ci sarà esclusivamente per meriti propri. Mica male, eh?

James Duckworth Challenger