Più che la notizia in sé, sorprende il modo in cui Carla Suarez Navarro ha scelto di comunicarla. La spagnola chiuderà con il tennis giocato a fine 2020, a 32 anni di età. Poteva restare zitta, evitare la curiosità degli addetti ai lavori, e comunicare tutto a cose fatte.
Invece ha scelto di annunciare il ritiro con un anno d'anticipo, sia pure senza ridimensionare le aspettative per il 2020. Partirà dal numero 55 WTA, ma sogna di rimettere il naso tra le top-10. “Ce la posso fare” ha detto durante una conferenza stampa presso il Club Tennis Barcino, uno dei tanti circoli di Barcellona.
Non sarà facile, in un circuito femminile sempre più dominato dalla potenza. Il suo tennis elegante, sublimato da un fantastico rovescio a una mano, e supportato da un fisico piccolo ma tozzo e compatto, le ha permesso di cogliere risultati straordinari.
Ma a 31 anni, e con migliaia di chilometri sulle gambe, il motore sta mostrando evidenti segni di usura. Può essere ancora pericolosa nella partita secca, magari nel singolo torneo, ma non sarà facile dare concretezza alle sue intenzioni.
I problemi fisici non c'entrano, nella scelta di Carla. Semplicemente, scavallati gli “enta”, ha capito che nella vita ci sono altre cose oltre al tennis. Le sue priorità sono cambiate e ha deciso di assecondare ciò che le suggerisce il cuore.
“Voglio stare vicino alla mia famiglia, ho trascorso troppo tempo lontano da loro. Terminata una tappa della mia vita, ne inizierà un'altra”. Giusto: nata a Las Palmas de Gran Canaria, proviene da una famiglia di sportivi (papà Luis giocava a pallamano, mamma Lali era una ginnasta) e ha mostrato un gran talento sin da bambina.
Ma le Canarie, per quanto bellissime, non sono il posto ideale per diventare una campionessa. Amministrate dalla Spagna, si trovano all'altezza del deserto del Sahara, appena sopra Mauritania, Mali, Niger e Ciad. Difficile svilupparsi in un posto del genere.
E allora si è trasferita a Barcellona da ragazzina, portandosi dietro la ruvidezza della gente di mare, ben descritta dai Modena City Ramblers nella loro “In un giorno di pioggia”. Alle Canarie si parla un dialetto abbastanza marcato, al punto che Carla faceva fatica con lo spagnolo, figurarsi con l'inglese.
Ma sul campo da tennis si parla una lingua universale. E lì, invece, ha dato lezioni a tante. Classe 1988, nel 2006 è diventata campionessa spagnola ed europea Under 18. All'ingresso tra le professioniste, ha trovato un coach-padre in Xavier Budo e insieme hanno costruito una carriera fantastica, colma di piazzamenti di rilievo.
Il grande rimpianto di Carla è il numero di titoli WTA: appena due, quasi un insulto per una giocatrice con il suo talento. Oeiras nel 2014 e Doha (decisamente il più importante) nel 2016. Ha raggiunto finali importanti a Miami e Roma, ma le è mancato l'acuto, quello per cui essere ricordata in eterno.
È un peccato, perché tanti tennisti meno forti hanno azzeccato il torneo della vita senza avere la giusta continuità. Lei no, pur andandoci vicina un mucchio di volte. Non si diventa numero 6 del mondo per caso, senza avere qualcosa di speciale.
Per sette volte, Carla ha raggiunto i quarti di finale in uno Slam: tre in Australia, due a Parigi, due a New York. Il primo a Melbourne, quando batté Venus prima di arrendersi a Elena Dementieva, l'ultimo allo Us Open 2018: si è tolta lo sfizio di battere la Sharapova, salvo poi arrendersi a Madison Keys.
Sempre a New York, nel 2013, ebbe la possibilità di festeggiare il 25esimo compleanno sull'Arthur Ashe. Purtroppo per lei, Serena Williams non era in vena di regali e le lasciò le briciole. La grande occasione, il torneo che avrebbe potuto cambiarle la vita, è il Roland Garros 2014.
Anche lo spettatore meno attento avrebbe colto le metafore del suo quarto di finale contro Eugenie Bouchard. La regina del bikini, del gossip tennistico, contro una forma di bellezza diversa, racchiusa dentro il campo da tennis, con un rovescio a una mano di un'eleganza stilistica straordinaria.
In quel periodo, la Bouchard giocava su una nuvola, illudendo se stessa e gli appassionati che avrebbe potuto diventare una super-big. Non sarebbe stato così, ma quel giorno diede il meglio e la spuntò 7-5 al terzo.
Avesse vinto la Suarez, in semifinale avrebbe affrontato Maria Sharapova, futura vincitrice del torneo. E forse avrebbe potuto scrivere una storia diversa. Ma c'era scritto, nel suo destino, che avrebbe dovuto essere ricordata per il gesto ancor più che per i risultati.
Lo scorso anno, in un'intervista durante la offseason, rilasciò una dichiarazione inquietante: “Il rovescio a una mano si sta perdendo. Gli restano pochi anni di vita. Personalmente sono contenta perché lascerò un ricordo per questo colpo.
È un colpo che piace molto alla gente, ne sono consapevole. Se dovessi chiedere qualcosa che non ho, vorrei qualche centimetro in più di altezza e non il rovescio a due mani”. Se tra gli uomini il colpo resterà in vita, tra le donne la faccenda è ben più complicata.
Quando Carla pronunciava queste parole, c'erano soltanto tre top-100 a giocare il rovescio a una mano: oltre a lei, la tedesca Tatjana Maria e la russa Margarita Gasparyan. Oggi resiste la Maria, ed è tornata tra le top-100 Viktorjia Golubic.
Ma l'orizzonte del colpo non è così roseo, anche perché le giovani non hanno più modelli a cui ispirarsi. E la precocità con cui si inizia a giocare consiglia i maestri a impostare il rovescio bimane, più adatto – in tenera età – a sorreggere il peso della racchetta.
Per fortuna c'è Youtube, con la possibilità di osservare il colpo straordinario di Carla. E c'è la speranza che qualcuno provi a imitarlo, tramandandolo ancora per qualche anno. “Il tennis mi ha dato più di quanto potessi immaginare – ricorda Carla – non avrei mai pensato di giocare da professionista per 12 anni.
Adesso ho altre priorità, il tennis richiede tanti sacrifici, un impegno mentale di 24 ore al giorno. Tuttavia, affronterò il mio ultimo anno con la dovuta professionalità. Forse avrei potuto vincere uno Slam: giochiamo tutte per quello e per diventare numero 1, ma non credevo di ottenere quello che poi è arrivato”.
Tra i suoi sogni c'è anche quello di mettere su famiglia e dedicarsi agli affetti. “Vorrei diventare madre – diceva l'anno scorso – e a quel punto penserò a quello, di sicuro non sarò tra le madri che tornano a giocare”.
C'è da crederle. E forse sì, è giusto che venga ricordata più per il suo rovescio che per un singolo exploit. Certe cose non hanno prezzo.