Non è facile rinunciare a 100.000 dollari, specie quando l'assegno è già lì, a portata di mano. È il dilemma che sta vivendo in queste ore il 18enne americano Jenson Brooksby, bravo a passare il primo turno dello Us Open battendo ciò che resta (poco, ahilui) di Tomas Berdych.
Sul Campo numero 13, il nativo di Carmichael, non distante da Sacramento (California) si è imposto 6-1 2-6 6-4 6-4 e ha avuto il suo quarto d'ora di gloria, forse anche di più. “Non sono in grado di dire quanti autografi abbia firmato, sicuramente molti” ha detto Brooksby, soprannominato “JT”, per la seconda volta nel main draw dello Us Open.
Lo scorso anno ottenne una wild card in virtù del successo nei Campionati Nazionali Under 18, mentre stavolta l'ha conquistato a suon di spallate nelle qualificazioni. Tra l'altro, è stato l'unico americano a superarle, almeno tra gli uomini.
In attesa di affrontare Nicoloz Basilashvili (n.17 del draw), ha iniziato a sfogliare la margherita. E non sarà una scelta semplice: diventare professionista, intascando i 100.000 dollari per chi perde al secondo turno (sarebbero 163.000 in caso di successo contro il georgiano), oppure rifiutarli e riprendere a frequentare la Baylor University, laddove si è aggiudicato una borsa di studio completa? Appena si tocca l'argomento, JT cambia tono di voce.
È titubante, non sa cosa fare. “Non ho ancora deciso se andare al college, la decisione è ancora in sospeso. Vediamo come finirà lo Us Open e quale sarà la mia classifica ATP tra un paio di mesi.
Più vinco, più è probabile che vada nella direzione opposta”. Di sicuro si radunerà con i familiari per valutare i pro e i contro di una decisione che – qualunque sia – segnerà il suo futuro per almeno 10 anni.
La Baylor University è una delle più prestigiose, nonché costose: la sola frequenza costa 43.000 dollari all'anno, ai quali si devono aggiungere vitto, alloggio e tasse (almeno altri 20.000). Nella classifica stilata lo scorso aprile, Baylor è stata inserita al nono posto nella classifica NCAA, mentre l'ultimo titolo universitario risale al 2004.
“I ragionamenti saranno anche di tipo economico – ammette Brooksby – ho ottenuto la possibilità di quattro anni di college gratuito, il cui valore è enorme: con i soldi che guadagno qui, potrei pagarmi giusto un semestre.
Andranno valutati tutti i fattori”. In realtà, l'idea di dedicarsi al tennis lo accarezza già da un po' Ha iniziato a pensarci prima dello Us Open, e vincere tre buone partite nelle qualificazioni (contro Uchida, Sugita e Pedro Martinez) ha certamente spinto in quella direzione.
A New York, tra l'altro, ha ottenuto una wild card per il doppio. Giocherà insieme a Hailey Baptiste. “Vincere partite complica la mia decisione. Quando scendo in campo voglio vincere, ma più vinco e più la scelta diventa complicata”.
La faccenda è molto sentita anche dall'entourage di Baylor. A seguire Brooskby a Flushing Meadows c'è anche Brian Boland, coach del team tennistico. Avvicinato dai giornalisti, ha chiesto di non parlare della vicenda.
Sa di non avere reale potere decisionale, quindi è inutile provare a condizionare Brooksby. Tra l'altro, la sua speranza è chiara. Le frasi pronunciate lo scorso dicembre, quando Brooksby ha firmato per i Bayor Bears, non si possono cancellare.
“Le parole non possono descrivere cosa significhi per noi avere Jenson Brooksby per la prossima stagione – aveva detto – lui è il numero 1 tra le reclute americane: il suo arrivo fa capire quale sia il nostro programma, e non potrei essere più felice di farne parte”.
La storia del tennis ricorda diversi casi di giocatori che hanno tardato l'ingresso nel professionismo per dare spazio agli studi. Persino John McEnroe, prima di dedicarsi a tempo pieno al tennis, aveva trascorso un anno a Stanford.
In tempi più recenti, ottimi giocatori hanno scelto di studiare prima di diventare professionisti. È fragorosa la vicenda di John Isner e Kevin Anderson, che nel 2007 si affrontarono in un intenso match delle finali NCAA , salvo poi ritrovarsi undici anni dopo in una memorabile semifinale di Wimbledon.
Tra le donne c'è stata Danielle Collins, due volte campionessa NCAA con la Virginia University, poi capace di raggiungere la semifinale all'Australian Open a 25 anni di età. In generale, il college è una buona soluzione perché migliora il bagaglio culturale del giocatore e – soprattutto – non preclude il futuro nel tennis, poiché c'è la possibilità di allenarsi tanto e a ottimi livelli.
Brooksby ha raccontato che i suoi compagni di squadra lo stanno sostenendo a distanza, con tanti messaggi di supporto e sostegno. “Sono convinti che li raggiungerò, e non mi hanno fatto domande sul mio futuro”.
Quella contro Berdych è stata la terza partita mai giocata da Brooksby al meglio dei cinque set: l'anno scorso aveva giocato la finale dei Campionati Nazionali a Kalamazoo e il match contro John Millman allo Us Open.
“Però rispetto al 2018 ho accumulato un po' d'esperienza nei Challenger e in tornei più grandi, dunque ero preparato – racconta – quando ho saputo che avrei affrontato Berdych, ho subito pensato che avrei avuto buone possibilità.
È un ottimo giocatore, ma chiaramente non è più quello di un tempo. Sembrava un po' lento, ma non mi pare che nelle ultime settimane abbia avuto qualche infortunio”. Un moto d'orgoglio, come a validare un successo che per lui rappresenta molto.
Va detto che Berdych sembra a un passo dal ritiro, e ha ammesso che per lui è stato un pomeriggio “terribile”. Difficilmente lo rivedremo in campo allo Us Open. “Sì, quel momento è molto vicino – ha ammesso – questo è il mio terzo tentativo di ritorno e non riesco a trovare la giusta soluzione, inoltre non ho più 24 anni.
Il problema non è tanto vincere o perdere, quanto perdere me stesso. In una situazione del genere, non sei in pieno controllo della situazione”. Ma se Berdych sta per abbandonare il professionismo, Brooksby sembra a un passo dall'entrarci.
Gli Stati Uniti non festeggiano un vincitore Slam dai tempi di Andy Roddick (Us Open 2003), ma sperano che le cose possano migliorare con una nuova nidiata di giovani. Fritz, Opelka e Tiafoe giocano bene, ma non sembrano fenomeni.
In questo gruppetto potrebbe infilarsi anche Jenson Brooksby. “Eh, so che gli americani si aspettano molto..”. . Lo dice a mò di sospiro, quasi a lasciar intendere che la decisione di diventare professionista sia quasi obbligata. Tra un paio di mesi sapremo. Intanto, il suo Us Open va avanti.
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