8789 battute sono parecchie. In gergo giornalistico, sono quasi 150 righe. Roba da magazine, più che da quotidiano. Sul web, sta alla pazienza e alla motivazione dei lettori arrivare in fondo. Per questo, è sorprendente che si sia preso uno spazio del genere un tennista in attività.
Significa che Vasek Pospisil aveva molto da raccontare, nell'articolo pubblicato in questi giorni dal “Globe and Mail”. Sceso al numero 205 ATP a causa di un intervento alla schiena che lo ha bloccato per 6 mesi (ma è stato anche numero 25, nonché quartofinalista a Wimbledon), ultimamente sta facendo parlare di sé per le sue battaglie sindacali.
Pospisil è tra i membri più attivi del player council ATP, l'organo di 10 persone che prova a difendere gli interessi dei giocatori nella giungla politica in cui è finito il tennis. Pospisil ha diviso in due parti il suo racconto: nella prima, piuttosto emotiva, ha raccontato l'evoluzione della sua carriera.
Figlio di immigrati dell'ex Cecoslovacchia, è nato in Canada nel 1990 e ha iniziato a giocare a 5 anni, su spinta del padre. Quando hanno capito che Vasek aveva un talento speciale, hanno venduto la casa e si sono spostati in un nuovo appartamento con una sola camera in cui si sarebbero radunate cinque persone (più due cani), ma in una città più adatta allo sviluppo di una carriera da giocatore.
Non solo: papà Milos ha lasciato il lavoro per seguirlo a tempo pieno nelle sue scorribande in giro per il mondo. “Abbiamo viaggiato ovunque, dormito in motel, case di amici e a volte in aree di sosta. Senza tutto questo, sarebbe stato impossibile farcela”.
E Vasek, in qualche modo, ce l'ha fatta. “Ho scoperto gli hotel di lusso, i privilegi di un top-player, i pasti gratis e tutto il resto. Molto meglio che giocare a Città del Messco mentre le band rivali si sparavano nei vicoli, o in Nicaragua nel bel mezzo di una rivolta”.
Ma quando la “luna di miele” è finita, le chiacchiere da spogliatoio hanno preso ad appassionarlo. Si parlava dell'avidità dei tornei, dei politicanti di professione, di accordi fatti all'insaputa dei giocatori.
Allora si è candidato nel player council, unico strumento che – teoricamente – dovrebbe dare voce ai giocatori. “Sono stato eletto un anno fa e da allora sto provando a cambiare le cose, perché non mi piaceva quello che ho sentito.
Ero arrabbiato per la mancanza di informazioni. Ai nostri meeting mancava la sostanza. Volevo fare di più, ma soprattutto volevo sapere di più”. In particolare, voleva sapere perché i tornei del Grande Slam versano soltanto il 14% del loro fatturato nelle tasche dei giocatori, quando nelle altre leghe professionistiche elargiscono il 50%, se non di più.
“E comunque questo 14% non è verificato: potrebbe essere anche di meno” scrive Pospisil. A suo dire, la conseguenza è che pochi giocatori possono guadagnarsi da vivere in uno sport che genera miliardi di dollari, ma è anche quello in cui i giocatori hanno più spese di tutti.
“Adesso penserete che sono un altro privilegiato che vuole ancora più soldi” continua il canadese. Con sorprendente passione, prova a smontare l'argomentazione. “La verità è che i top-50 vivono molto bene, ma fuori dai top-100 la maggior parte dei giocatori perde soldi o al massimo va in pareggio.
Nel 2018, la media del prize money dei giocatori compresi tra il numero 51 e il numero 100 ATP è stata di 583.235 dollari lordi”. Pospisil spiega che in NHL (la lega professionistica di hockey su ghiaccio) ci sono ben 450 giocatori ad aver intascato più di un milione di dollari, peraltro con una postilla importante: sono spesati dalle rispettive società.
Ergo, quello che guadagnano rimane nelle loro tasche. Secondo il canadese, l'attuale sistema è perfetto per consentire ai tornei di mantenere il loro monopolio, senza che i giocatori possano davvero cambiare le cose.
La nuova iniziativa sarebbe quella di creare un sindacato giocatori, indipendente e distaccato dalla stessa ATP. La struttura attuale vede una coabitazione tra giocatori e organizzatori dei tornei, con l'ultima parola spettante al presidente in caso di parità nelle votazioni.
Sul punto, Pospisil svela un dettaglio interessante: “L'ATP dice che siamo appaltatori indipendenti, quindi non possiamo unirci legalmente senza la minaccia di essere citati in giudizio”. In sintesi: essendo liberi professionisti, i giocatori non potrebbero creare un'associazione autonoma rispetto all'ATP.
“Ma siamo davvero appaltatori indipendenti? - si domanda Pospisil – secondo lo statuto ATP è così, ma un giudice come la penserebbe? I tennisti sarebbero in grado di svolgere lo stesso tipo di vita se non ci fosse l'ATP? O forse siamo dei dipendenti, i cui mezzi di sussistenza dipendono dai guadagni conquistati negli Slam e nei tornei ATP? Io credo soprattutto alla seconda opzione.
Non ci sono alternative, stiamo vivendo un monopolio. Inoltre abbiamo degli obblighi verso l'ATP, che ci multa e penalizza se saltiamo determinati tornei. Scommetto che un giudice ci darebbe ragione”. Con queste premesse, le rivendicazioni economiche di Pospisil assumono un aspetto diverso.
A suo dire, non è giusto che i giocatori non conoscano i dati finanziari degli eventi e la mancanza di comunicazione sugli accordi economici. “Su quelli più importanti non ci dicono niente, e impongono ai nostri rappresentanti di rimanere in silenzio”.
Un'Unione Giocatori sarebbe lo strumento adeguato affinché i giocatori ottengano quello che meritano. “Loro dicono che dobbiamo fidarci, ma in realtà fanno affari e danno il minimo indispensabile per evitare una rivoluzione.
Vogliono dare ai giocatori soltanto quello di cui hanno bisogno, niente di più”. Dopo questo sfogo, ha raccontato un aneddoto risalente a qualche anno fa. Nel 2012, i tennisti avevano minacciato di boicottare l'Australian Open.
Erano tutti compatti tranne uno (Pospisil non fa il nome): alla fine, per evitare lo scandalo, gli organizzatori aumentarono il montepremi. “Ma lo hanno fatto in una percentuale irrisoria. Io vorrei soltanto equilibrio di potere e una vera negoziazione, in modo che si possano raggiungere accordi di reciproco vantaggio.
Chiedo equità e trasparenza, nulla di più”. Leggendo le 8789 battute del suo pezzo, verrebbe da dargli ragione. Naturalmente andrebbe ascoltata anche la controparte, e non c'è dubbio che i tornei avrebbero da ridire.
E avrebbero le loro argomentazioni. In effetti, sull'argomento non c'è mai stata grande trasparenza. L'unica certezza è che in questo momento è tutto bloccato. Dopo il meeting tenutosi a Wimbledon, ben quattro elementi del player council si sono dimessi: Jamie Murray, Robin Haase e Sergiy Stakhovsky, oltre al rappresentante dei coach Daniel Vallverdu.
La struttura, come vedete, è piena di posti vacanti. Sembra in bilico anche la posizione del presidente Novak Djokovic, che a Wimbledon aveva sintetizzato gli stessi concetti espressi da Pospisil. “Purtroppo il governo è strutturato in modo tale da non consentirci di apportare cambiamenti significativi”.
Segue con interesse queste vicende anche Lorenzo Giustino, numero 130 ATP, in questi giorni impegnato al Challenger di Manerbio. Dopo la rivoluzione di luglio, gli è stato chiesto di candidarsi per il prossimo consiglio e lui ha accettato.
In effetti, è sempre mancato un rappresentante che frequenti soprattutto il circuito Challenger. “Ci sono tante cose che non funzionano – ha detto il napoletano – mi capita spesso di parlare con i tour manager e mi dicono che l'ATP non aumenta i montepremi nei Challenger perché sono eventi che non producono, mentre invece l'ATP deve generare profitto.
Ma loro sono i primi a comunicare in modo sbagliato, mettendo una netta distinzione tra ATP Tour e ATP Challenger Tour. Secondo me anche i Challenger dovrebbero essere considerati tornei ATP 80, 90, 100 e così via. Non è possibile che la pagina Intagram dell'ATP abbia un milione e mezzo di followers, mentre quella dei Challenger appena 237.
Con una comunicazione più omogenea, sarebbe più facile vendere il prodotto”. Sulla questione della percentuale di denaro riservata dagli Slam, Giustino fa un paragone calcistico: “Sommando gli spettatori dei quattro Major si arriva a quasi tutti quelli della Champions League.
E allora com'è possibile che tanti giocatori siano in difficoltà economiche?”. Un altro punto che fa arrabbiare l'azzurro è l'erronea comunicazione dei prize money. Sul sito ATP sono specificati i guadagni dei giocatori, sia stagionali che di tutta la carriera.
“Ma quelle cifre non corrispondono al vero. Al lordo devono essere tolte le tasse, senza dimenticare che il tennis è lo sport che obbliga i giocatori ad avere più spese”. E ormai le storie di chi si chiude una stagione in passivo non si contano più.
Non siamo sicuri che la verità sia tutta in una sola direzione, ma sembra ormai certo che il tennis debba cambiare strada, anche se l'unica vera soluzione sembra utopia: l'istituzione di un Commissioner, un leader che non appartenga a nessuna sigla e che possa lavorare, in piena autonomia, nell'esclusivo interesse dello sport.
Pensate che sette organi di governo (ATP, WTA, ITF e i quattro Slam) accetterebbero uno scenario simile? Ecco, appunto.