Guido Pella, una favola in nome dell'amore. E di Eurodisney...



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Guido Pella, una favola in nome dell'amore. E di Eurodisney...
Guido Pella, una favola in nome dell'amore. E di Eurodisney...

Il sesto senso di una mamma non tradisce. Cinque mesi fa, dopo aver perso una rocambolesca finale a Cordoba, Guido Pella ha telefonato a mamma Charo. “Non vincerò mai”. Intascare un semplice titolo ATP era ormai un'ossessione, alla quarta finale perduta.

Quando il cervello è sempre in moto, anzi, in tumulto, ogni sensazione è ingigantita. Guido Pella è un ragazzo dalla sensibilità particolare. Ogni giorno che Dio manda in terra, deve combattere con i propri demoni.

Con tutte le sue difficoltà, il tennis non è lo sport ideale per uno come lui. Lo ha detto anche dopo la fantastica impresa contro Milos Raonic, meglio di un fumetto Disney (di cui è grande appassionato).

“Il tennis mi ha dimostrato, ancora una volta, che puoi essere molto bravo o molto scarso”. Adesso Pella è “molto bravo”: soltanto tre argentini avevano raggiunto i quarti a Wimbledon prima di lui: Guillermo Vilas, David Nalbandian e Juan Martin Del Potro.

“Per la prima volta, oggi mi sento importante – ha detto – non avrei mai pensato di raggiungere i quarti a Wimbledon. Aspiravo, al massimo, a un posto negli ottavi. Ma era un traguardo difficile. Mi sento importante perché non è facile mantenere un certo livello in uno Slam, per due settimane.

I tre matchpoint mancati? A un certo punto volevo piangere. Sei a un punto dai quarti a Wimbledon e il tuo avversario tira dei missili in battuta. Non chiedevo che commettesse un doppio fallo, ma almeno una palla giocabile..”.

. Alla fine, l'impresa è arrivata. Alla faccia di chi pensava che l'algoritmo che stabilisce le teste di serie a Wimbledon fosse stato sin troppo generoso con lui, che prima di questo torneo aveva vinto appena 4 partite su 13 sull'erba.

Ma torniamo alla telefonata di cinque mesi fa. Mamma Charo, che è una docente universitaria, sa il fatto suo. E conosce bene il figlio. Lo valuta in modo onesto, sa quello che merita e quello che è in grado di ottenere.

“Ti ricorderai di me, quando vincerai. E succederà presto”. Lui sentiva quelle parole, ma in realtà non le ascoltava. Meno di un mese fa, a San Paolo, avrebbe finalmente intascato il suo primo titolo ATP.

“Una liberazione. Adesso sono tranquillo, quello che verrà dopo sarà tanto di guadagnato: ho avuto tutto quello che volevo dal tennis, la Coppa Davis e un titolo ATP”. Lo scorso ottobre ha iniziato a lavorare con una psicologa, con cui parla apertamente della sua vita, di quello che sognava da piccolo.

“Grazie a lei, mi conosco meglio”. Con la mente finalmente libera, e demoni finalmente scacciati, ha preso a giocare il miglior tennis della sua vita. I pezzi del puzzle si sono messi insieme. Non c'è più il giocatore depresso che ha pensato più volte al ritiro, vittima di alti e bassi, capace di dire che l'intelligenza può essere una dote “negativa” nel tennis, perché pensare troppo porta alla confusione.

“La mia carriera non è mai stata normale” ha detto qualche giorno fa, dopo aver battuto il finalista in carica Kevin Anderson. Lo scorso anno aveva superato Marin Cilic, adesso si è tolto lo sfizio di battere chi ha giocato la finale del 2016, l'altro bombardiere Milos Raonic.

Lo ha fatto giocando con l'entusiasmo di un bambino. Basta guardare le immagini al rallentatore, il suo sguardo quando va incontro alla palla. C'è ancora l'incanto di quando si appassionava al tennis negli anni della “Legion Argentina” e vinceva parecchio da junior, soprattutto in Italia, a Milano.

Nel 2006 ha vinto l'Avvenire, nel 2008 si è ripetuto al Bonfiglio. Per non farsi mancare niente, un paio d'anni fa – nell'ennesimo tentativo di ritrovare se stesso – ha vinto il Challenger dell'Harbour Club.

Per chi ama le belle storie, è piacevole ricordare che non ha mai perso i valori e i sogni di bambino neache quando sono arrivate la popolarità e il trionfo più bello per il pueblo tennistico argentino: la Coppa Davis.

Nel 2016 fu preziosissimo, vincendo punti importanti in Polonia, in Italia e anche nella semifinale contro la Gran Bretagna. L'impegno lo ha sfibrato, al punto che ha avuto bisogno di sei mesi per ricaricarsi. Non si era montato la testa, semplicemente il suo corpo si era ribellato.

E via con i dubbi, le paure, l'angoscia di non essere all'altezza. Ma mamma Charo sapeva benissimo che, prima o poi, sarebbe arrivata la gioia. E forse non è un caso che il risultato di Wimbledon (tecnicamente il più valido della sua carriera) si arrivato un paio di mesi dopo aver chiesto la mano alla fidanzata Stephanie Demner.

Maggio è stato un mese speciale. Al Foro Italico è stato raggiunto dalla famiglia e hanno trascorso tutti insieme il suo 29esimo compleanno. Non gli accadeva da 17 anni. Come se non bastasse, qualche giorno dopo ha scelto Parigi, anzi, Eurodisney, per chiedere a Stephanie di sposarla.

I due sono una coppia molto in vista nel gossip argentino. Lei è una modella-influencer, con all'attivo alcune storie con sportivi. La più nota risale a qualche anno fa, con... Juan Martin Del Potro. Ha vissuto un altro paio di relazioni, poi ha conosciuto Pella su Instagram: dopo qualche messaggio e con la complicità di alcuni amici comuni hanno iniziato ad uscire insieme, ufficializzando la relazione circa un anno fa.

Amore a prima vista, forse l'ultimo tassello mancante al puzzle di Guido. E non è un caso che la proposta di matrimonio sia arrivata a Eurodisney. Sin da piccolo, è un grande appassionato di fumetti. Da bambino, si è guardato l'intera collezione di film Disney.

“Appena ho guadagnato i primi soldi ci sono andato. Ogni anno vado a Orlando, provo a fare altrettanto a Parigi e vado anche a Shanghai ogni volta che vado in Asia. Credo che sia il posto più magico del mondo, laddove dimentico le pressioni del tennis e posso rilassarmi totalmente”.

Con tutto il rispetto per Orlando e Shanghai, non poteva che scegliere Parigi per la proposta di matrimonio. Sotto gli occhi di coach Josè Acasuso (con il quale lavora full time dallo scorso Us Open: insieme, hanno lavorato duro per migliorare il dritto: “Finalmente adesso gioco come un mancino, con tutti i vantaggi del caso”), del preparatore atletico Juan Gavan (che indossa un cappellino della New Team, giusto per chi ama i cartoni animati...) e quelli amorevoli di Stephanie, sta scrivendo la sua favola pulita a Wimbledon.

Quando era piccolo, guardò la finale del 2001 insieme a papà. Guido era un gran tifoso di Rafter: ci rimase male ma non troppo, perché la storia di Ivanisevic era una piccola grande fiaba. E lui non avrebbe mai pensato che avrebbe vissuto qualcosa del genere 18 anni dopo.

La strada per la finale prevede un ostacolo durissimo, Roberto Bautista Agut. Dovesse vincere, Novak Djokovic nei quarti sembrerebbe un ostacolo insormontabile. Ma, vivaddio, la tassa per sognare non l'hanno ancora inventata.

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