Di padre in figlio: Roma abbraccia la storia di Christian e Casper Ruud
by RICCARDO BISTI | LETTURE 5469
Diciannove anni fa, Christian Ruud giocava per l'ultima volta gli Internazionali BNL d'Italia. Perdeva contro Carlos Moyà, oggi coach di Rafael Nadal. Il miglior tennista norvegese di sempre, invece, aspetta di farsi togliere lo scettro dal figlio Casper.
Battendo Daniel Evans dopo aver superato le qualificazioni, ha eguagliato il miglior risultato romano del padre, che nel 1997 passò il primo turno prima di sfidare Goran Ivanisevic. Potrà migliorarlo se dovesse battere Nick Kyrgios, acciuffando un posto negli ottavi.
Il 20enne di Oslo è entrato tra i top-100 ATP a marzo, poi ha giocato la sua prima finale ATP a Houston. Il primo successo in un Masters 1000 era solo questione di tempo. “Il 2019 è il primo anno in cui mi sento veramente costante per varie settimane di fila – ha detto – sono contento di questo successo, ma voglio fare di più”.
Con papà Christian non c'è nessuna competizione, anche perché è stato lui ad allenarlo per buona parte della sua carriera. “Ci tiene molto e vuole il massimo per me. Sin da quando ero piccolo, è una figura importante per ogni mio successo.
Vengo da un paese senza tradizione tennistica, e non avevo particolari esempi a cui ispirarmi al di fuori di lui. Era l'unico a sapere com'è la vita nel tour. Essere norvegese non era un vantaggio, ma ho avuto la fortuna di avere mio padre”.
Tra le donne è un fenomeno abbastanza diffuso, mentre nel circuito ATP è raro che un familiare faccia parte dello staff di un giocatore. Il caso più noto riguarda Toni Nadal, zio-coach di Rafael, che ne ha plasmato la carriera fino all'anno scorso.
Tra i più giovani c'è il caso di Tessa Shapovalova, madre di Denis Shapovalov. Senza dimenticare Denis Istomin, pure lui allenato dalla madre. Quando Casper era piccolo, il padre gli ha fatto praticare tanti sport: calcio, hockey, golf e anche tennis.
Aveva appena un anno quando ha tirato i primi colpi nel giardino di casa, quando il cesto delle palline era più alto di lui. Col tempo, la passione per le altre discipline è scemato e Casper ha scelto il tennis.
“È stato lui a decidere, in piena autonomia – dice papà Christian – aveva 11 anni e mi ha detto che voleva il tennis perché preferisce gli sport individuali a quelli di squadra”.
A quel punto, la famiglia si è dedicata alla sua crescita. Per anni, a parte qualche torneo giovanile, si è limitato a lavorare a Oslo. Papà Christian, numero 39 ATP negli anni 90, ha insistito per fargli sviluppare un ottimo dritto.
Mentre giocava, si è accorto che il tennis stava cambiando. C'èra sempre meno spazio per gli specialisti e più per i polivalenti. E un buon dritto, si sa, funziona dappertutto. A 17 anni, Casper è stato numero 1 junior.
L'anno dopo ha colto una sorprendente semifinale al torneo ATP di Rio de Janeiro. Poi, inevitabili, sono arrivate le difficoltà. Più che una crisi, ha trovato un muro. Per due anni non è stato in grado di entrare tra i top-100, finendo anche in 205esima posizione.
“È difficile rimanere concentrati e affamati in ogni singola settimana, specialmente nel mio caso – dice Ruud jr – non mi sentivo bloccato, ma per due anni ho oscillato tra il numero 110 e il numero 140.
Stavo soltanto spingendo per entrare tra i top-100”. La scorsa estate c'è stato un passaggio importante, quando si è trasferito presso l'accademia di Rafael Nadal a Maiorca. Ha avuto la possibilità di parlare con alcuni colleghi (Munar, Carreno Busta e Ramos Vinolas) e ha ottenuto risposte illuminanti: è più difficile arrivare tra i top-100 che rimanerci.
“Bisogna restare tutto l'anno su buoni livelli, ma negli ultimi anni la qualità dei Challenger si è alzata. Senti di poter vincere ogni torneo, ma in realtà puoi anche perdere nei primi turni. In quei tornei, gli avversari sono affamati e combattono come pazzi”.
Al torneo di Rio, laddove si era rivelato due anni fa, ha centrato i quarti. La settimana dopo, si è spinto in semifinale a San Paolo. Il 4 marzo, i numeri lo hanno finalmente premiato: numero 94 ATP. Attualmente è in 76esima posizione, ma dopo Roma salirà ancora.
E ci sono ottime prospettive, visto che da qui a ottobre ha soltanto 166 punti da difendere. E c'è ancora spazio per giocare parecchi tornei sulla terra battuta. “Credo che si adatti al mio tennis meglio delle altre superfici.
Sento di poter fare molto con il dritto e adottare rotazioni estreme. Mi sembra che questo stile funzioni meglio sulla terra che sul duro”. In questo momento non è il migliore tra i ragazzi della Next Gen ATP, saldamente guidati da Stefanos Tsitsipas, ma vede uno spiraglio.
“Mi sembra che manchi un vero specialista della terra battuta. Quello specialista potrei essere io”. In questo momento occupa la sesta posizione nella Race to Milan, valida per le Next Gen ATP Finals di Milano (5-9 novembre).
Ci sperava già nel 2017, l'anno scorso non c'è andato neanche vicino, mentre stavolta ha le carte in regola per farcela. “Mi sembra che sia divertente ed è una bella occasione per i giovani. Tra noi siamo amici: ovviamente sul campo c'è rivalità, ma è bello anche andare d'accordo.
Con questa bella atmosfera, mi piacerebbe davvero arrivarci”. Ci sarà tempo per pensarci: adesso c'è il presente, Roma, e un match pieno di fascino contro Nick Kyrgios. Sotto gli occhi amorevoli di papà Christian, che continua a seguirlo pur avendo avuto l'intelligenza di fare un passo indietro. Lo ha spedito in Spagna con un solo obiettivo: farlo diventare ancora più forte.