“Il tennis ti toglie molto, poi può anche ricompensarti”. L'aveva detto anni fa: oggi, finalmente, Guido Pella ha raccolto quanto seminato. A quasi 29 anni, ha vinto il suo primo titolo ATP. Lo ha centrato in Brasile, laddove gli argentini non sono troppo ben visti.
“Ma qui ho sempre giocato bene, tre anni fa stavo per vincere a Rio de Janeiro. Ed è stato bello avere il sostegno del pubblico” ha detto dopo il trionfo al Brasil Open di San Paolo, un 7-5 6-3 che è sembrato di routine contro Christan Garin.
In realtà, il ragazzo di Bahia Blanca ha dovuto combattere i fantasmi di tre settimane fa, quando si era trovato avanti di un set e 4-2 nel secondo nella finale di Cordoba, contro Juan Ignacio Londero. Ha perso la partita e la sua mente sensibile ha impiegato un po' a ricostruirsi.
Però il lavoro paga, anche se spesso fa soffrire. Al quinto tentativo ce l'ha fatta, peraltro con la ciliegina sulla torta: insieme al successo, è arrivato il best ranking. È numero 34 ATP, scavallando la 39esima posizione conquistata tre anni fa e che sembrava ormai irraggiungibile, soprattutto per un ragazzo soggetto a vertiginosi alti e bassi.
Parliamoci chiaro: Guido Pella non è baciato dal talento come un Roger Federer o un Pat Rafter (suo primo idolo), eppure la sua carriera giovanile aveva illuso. Vittoria all'Avvenire, vittoria al Bonfiglio, semifinale a Parigi...
invece la transizione verso il professionismo è stata durissima, non tanto per i risultati, quanto per la fatica a intraprendere un certo tipo di vita. A differenza di tanti colleghi, Pella si è spesso aperto con i giornalisti, raccontando difficoltà e dilemmi interiori.
Giocare ogni settimana, viaggiare, abituarsi all'idea della sconfitta... non è facile. E gli è capitato di rivolgersi a uno psicologo. Aveva poco più di 20 anni. Nel 2012 è entrato tra i top-100 ATP, poi ha vissuto una crisi ancora più profonda nel 2014.
Dopo aver perso una brutta partita al Challenger di Mestre, è sparito per qualche mese. La stampa di Bahia Blanca aveva parlato di un ritiro agonistico, voce smentita via Twitter dal diretto interessato. Aveva solo bisogno di riordinare le idee.
“Qualcosa si era impigliato nella mia mente, ho dovuto fare un grande sacrificio per ritrovare me stesso. È stato necessario, ma non lo rifarei”. È tornato più forte di prima, poi ha vissuto un 2016 straordinario, culminato col trionfo in Coppa Davis.
Dopo quel successo, tuttavia, ha vissuto la terza crisi. “Ma solo perché eravamo devastati dalle fatiche di Davis. E io, a differenza di Del Potro, non potevo prendermi una pausa. Così ho giocato diversi tornei, ho perso tante partite e ho smarrito la fiducia”.
Soltanto due anni fa, era piombato al numero 166 ATP. “E mi domandavo se avrei mai migliorato il mio best ranking”. Ce l'ha fatta, anche perché non ama accontentarsi. Cerca sempre una via, una soluzione, non ha paura di investire su se stesso.
Nel 2016 aveva lavorato addirittura con un biologo molecolare, il quale lo avevo persuaso che il cervello è un muscolo come gli altri, e come tale può essere allenato. E poi ci sono i coach: per anni è stato seguito da Fabian Blengino, poi – a un certo punto – ha capito che doveva effettuare un investimento.
E così ha assunto Gustavo Marcaccio, colui che aveva portato Juan Monaco tra i top-10 ATP. È andata bene, ma non a sufficienza. Lo scorso novembre, ancora un cambio: dentro José Acasuso, l'ex “Chucho”, top-20 ATP il cui nome è legato a due sconfitte in altrettante finali di Coppa Davis.
Dopo il ritiro si era dato agli affari, ma Pella lo ha convinto a rimettersi in gioco. “Ho scelto José perché è molto tranquillo – racconta Pella – io sto provando a rimanere calmo sul campo da tennis.
A volte è difficile, ma poi lo guardo e lo trovo impassibile. Per me è ottimo. È una della sue qualità principali, poi conosce bene il tennis ed è un ottimo coach”. Rispetto a prima, il servizio è un'arma in più per Pella.
A San Paolo gli ha dato la tranquillità necessaria per vincere punti facili, senza spremere troppo le meningi. E si è tolto la soddisfazione di vincere nel Brasile, terra solitamente “nemica”. Non per lui.
“Ho sempre giocato bene da queste parti, sin da quando avevo 12 anni. Non è facile che un argentino si trovi in Brasile e la gente faccia il tifo per lui. Però in questi giorni è stato così e mi è piaciuto molto”.
Ci sono le premesse affinché il 2019 possa essere la sua migliore stagione, anche perché ha dimostrato di poter giocare bene su tutte le superfici. Non è un caso che le sue vittorie più importanti siano arrivate lontano dalla terra battuta: Thiem a Chengdu e (soprattutto) Cilic a Wimbledon.
Adesso potrà giocare tranquillo, dopo essersi scrollato di dosso gli ultimi fantasmi. E potrà festeggiare con la splendida fidanzata, la modella Stephanie Demner (ex di Del Potro), che oggi è una specie di Chiara Ferragni argentina e vanta oltre 730.000 followers su Instagram.