Rublev, Shapovalov, Chung: ecco a che punto sono



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Rublev, Shapovalov, Chung: ecco a che punto sono
Rublev, Shapovalov, Chung: ecco a che punto sono

Nelle prime giornate degli Slam ci si concentra su tante cose, ancora di più in uno imprevedibile come l’edizione 2018 degli Australian Open: gli italiani, la forma dei rientranti Djokovic e Wawrinka – ma anche quella di Nadal -, le storie più appassionanti, le maratone. Insomma, tantissimi spunti di riflessione sotto tutti i punti di vista.

Tra questi ci sono le nuove leve, alcune ancora in fase di sviluppo (si pensi a de Minaur e Ruud), altri già arrivati ad un livello piuttosto alto. Considerando i partecipanti alle Next Gen Finals dello scorso novembre, non si possono non considerare tre nomi in particolare: Andrey Rublev, Denis Shapovalov e Hyeon Chung.
 primi due sono universalmente considerati i ragazzi con il maggior potenziale tra gli attuali under 21, con il coreano che, a sua volta, sta sviluppando una maturità e una consapevolezza dei propri mezzi non banali.

La veemenza di Rublev
Tra i giocatori sopra citati, quello che attualmente è più in alto in classifica è Rublev, numero 32 del mondo e testa di serie numero 30 degli Australian Open. Il russo è esploso la scorsa estate con il successo di Umago e i quarti raggiunti agli Us Open, dove ha mostrato le sue enormi qualità, ma anche gli importanti margini di miglioramento, che dovrebbero portarlo nei top ten entro un paio di stagioni.

La sua fluidità dei suoi movimenti e la facilità di accelerare con entrambi i fondamentali ricordano quelle di Kafelnikov, suo connazionale e numero uno del mondo nel 1999.
Sono tante le cose che impressionano del ragazzo allenato da Fernando Vicente: su tutte la capacità di tirare colpi a tutto braccio in serie (anche quattro accelerazioni consecutive in cinque secondi) e di proiettare tutto il peso del proprio corpo in avanti, ma anche la grande velocità di piedi.

Gli manca ancora la disciplina tattica, il passaggio da colpitore puro a giocatore di tennis di altissimo livello. In questo senso è stata paradigmatica la lezione che gli ha inflitto Nadal a New York, con Rublev incapace di variare il gioco, di dare più rotazione ai propri colpi, di variare con lo slice e di aprirsi di più gli angoli con il servizio (soprattutto da sinistra, dove, secondo i dati ATP, nel 2017 ha adottato la soluzione esterna solamente nel 32% dei casi).

A Melbourne si è intravisto qualche segnale interessante: per esempio, nel match vinto in quattro set con Baghdatis, non ha tirato sempre la risposta a tutto braccio, cercando talvolta più la profondità e la centralità per non perdere campo o aprire troppo gli angoli all’avversario, peraltro evidenziandone le difficoltà in uscita dal servizio. Questa soluzione è stata cruciale per la vittoria del primo set, fondamentale nell’economia generale dell’incontro. Nella stessa sfida, ha saputo gestire diverse situazioni cruciali in modo brillante, manovrando lo scambio e inducendo Baghdatis all’errore.

A questo, però, hanno fatto da contraltare diversi momenti in cui ha cercato il vincente anche arrivando in ritardo sulla palla, altri in cui ha smesso di aprirsi gli angoli, altre volte ancora ha ricercato l’accelerazione in modo fin troppo esasperato (per esempio con il dritto, con cui ha accorciato in più di a causa dell’impatto arretrato, naturale conseguenza della ricerca della “sbracciata”).

“Ho ancora tanti alti e bassi. Posso giocare bene un torneo e poi perdere al primo turno nei successivi due. È questa la cosa principale che devo imparare, essere più stabile e giocare con più costanza. Devo lavorare di più a livello fisico (è alto 1,88 m per 68 kg, ndr) per essere ancora più forte”, ha dichiarato il russo dopo aver perso la finale delle Next Gen Finals contro Chung.

Sicuramente non è un ragazzo che si sottrae alla lotta, come visto anche lunedì notte contro Ferrer, in una sfida molto importante per lui, vinta al quinto set dopo essere stato sotto di un break, con lo spagnolo che aveva conquistato il quarto parziale dopo aver recuperato due break di svantaggio.

Adesso è dove voleva essere: al terzo turno contro Dimitrov, in un match tutt’altro che chiuso, dove la sua esuberanza sul piano tecnico e caratteriale potrebbe creare più di un problema al bulgaro.
Figlio di boxeur, la sua padronanza del “colpo del k.o.” potrà portarlo davvero lontano.

La brillantezza di Shapovalov
​​A partire dalla scorsa estate, in molti si sono innamorati del tennis di Denis Shapovalov, della sua velocità di braccio, della sua reattività di piedi, del suo andare incontro alla palla con un misto di aggressività e spensieratezza che contraddistingue i ragazzi giovani. Ma c’è di più.

Shapovalov, infatti, si è dimostrato lungimirante e intelligente nella programmazione del proprio lavoro, come dimostra anche quanto accaduto l’anno scorso a Melbourne, dove andò ad allenarsi durante il torneo dopo aver vinto il Challenger di Canberra. Confrontarsi con i migliori e vedere il loro modo di approcciare la professione, specialmente durante un torneo dello Slam, gli ha dato modo  di assorbire tante informazioni preziosissime.
Così negli ultimi dodici mesi ha migliorato moltissimo sia il servizio (seconda inclusa) che il dritto, che può progredire ulteriormente in termini di spinta delle gambe, in modo da proiettare interamente tutto il corpo verso la palla.

La sua reattività di piedi fuori dal comune gli consente di essere molto competitivo anche in ribattuta, soprattutto quando risponde al servizio slice esterno da destra: questa situazione di gioco aveva creato enormi problemi a Tsonga nel match di New York (secondo i dati ATP, Shapovalov in quelle circostanze risponde oltre la riga del servizio nel 79% dei casi).

La notizia migliore, però, è che “El Shapo” ha enormi margini di miglioramento sotto tantissimi aspetti: copertura della rete, capacità di soffrire e di vincere punti “sporchi” (cerca troppo spesso lungolinea improbabili per ribaltare l’inerzia degli scambi), scelta del rischio giusto al momento giusto, comprensione del colpo da utilizzare nel momento più appropriato, senza considerare che non è ancora completamente formato dal punto di vista fisico e mentale.
Pensando ai match persi a New York e Melbourne rispettivamente contro Carreno e Tsonga, sono state proprio la condizione atletica e la gestione dei momenti decisivi a fare la differenza. La strada, però, è tutta in discesa.

I silenzi di Chung
Si parla molto meno invece di Hyeon Chung, vincitore delle Next Gen Finals e numero 58 ATP. Il coreano non è un “personaggio” come Rublev e Shapovalov, non ha un account Twitter e su Facebook raramente scrive più di un post al mese. A lui interessa concentrarsi sul proprio gioco, sulla gestione mentale della sua professione.

Per questo motivo lavora con uno psicologo: “Mi dice di stare calmo e di avere una faccia da poker quando sono arrabbiato, e di trovare un modo per giocare meglio e vincere". Questo però non gli impedisce di mostrare carattere sul rettangolo di gioco.

A differenza di Rublev e Shapovalov, se da un lato non ha ancora sconfitto un top ten, dall’altro è sempre lucido nella lettura della partita, non sbaglia quasi mai scelte tattiche e si difende benissimo, combinando un footwork notevole con una potenza impressionante negli arti inferiori.
Mentre dalla parte del rovescio non ha problemi ad accelerare e a cambiare velocità in qualsiasi modo, con il dritto ha più problemi quando è costretto a giocare a ritmi elevati, anche se sta acquisendo sempre più fiducia nel cambio in lungolinea.

Probabilmente non ha ancora un servizio tale da consentirgli di arrivare subito tra i primi 15-20 del mondo, come dimostra il fatto che ha terminato il 2017 al 65esimo posto per efficienza al servizio e al 78esimo per punti vinti sulla seconda con il 48% (dati ATP).
Intanto a Melbourne è al secondo turno, dove affronterà Medvedev, nella rivincita della sfida di Milano (vinse il coreano al quinto). Se dovesse passare il turno, ai sedicesimi dovrebbe sfidare Alex Zverev, in quella che sarebbe una prova tecnica di un match che tra non molto varrà molto di più.