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Mental Coaching. Come diventare un tennista vincente


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Le due domande più frequenti, tra tutte quelle che mi vengono rivolte riguardo alla mia professione, sono “Cos’è il mental coaching?” e “A cosa serve il mental coaching?”. Ecco la definizione che ho elaborato nel corso tempo per rispondere a entrambe: il coaching è un metodo di allenamento mentale indirizzato al miglioramento delle prestazioni e al raggiungimento di obiettivi attraverso la scoperta e lo sviluppo delle potenzialità individuali. Tradotto: “fare coaching” significa creare le condizioni affinché si verifichino apprendimento e crescita, grazie alla piena conoscenza e alla consapevolezza delle risorse che emergono dentro di noi nel preciso istante in cui impariamo a osservarci. Come mental coach, dunque, posso ritenermi un “facilitatore di consapevolezza, responsabilità e fiducia”, un ruolo che si distingue dal formatore, ma anche da quello dello psicologo dello sport, sebbene talvolta possano crearsi delle sovrapposizioni o, perché no, delle sinergie. Un mental coach può lavorare con un singolo atleta oppure con una squadra, con o senza il coinvolgimento degli allenatori, e può persino svolgere la sua attività a distanza. Anche senza interazione diretta si può parlare di coaching, se l’atleta viene sollecitato a lavorare su sé stesso mediante esercizi specifici e autovalutazione, e questo è l’obiettivo che ci prefiggiamo di raggiungere grazie al percorso che affronteremo assieme su Tennis World Italia.

Il tennis è una disciplina in cui non c’è il contatto con un rivale da affrontare in uno scontro diretto o in un corpo a corpo. Ciò nonostante, molti giocatori temono il confronto con avversari ritenuti più competitivi di loro e ancora prima di affrontare una gara iniziano a intossicarsi di pensieri negativi che spostano l’attenzione dalla prestazione al risultato e portano inevitabilmente all’autosabotaggio, perché innescano la cosiddetta profezia che si autoavvera. La nostra mente nel bene e nel male fa di tutto per accontentarci, perciò se in testa ronza un bel “contro questo avversario non vinco di sicuro”, l’unica cosa certa è che contro quell’avversario si perderà di sicuro, e la profezia viene così confermata.

La paura del confronto, la paura di perdere, la paura del giudizio e l’ansia da prestazione sono tutte trappole mentali in cui un tennista, e più in generale un atleta, rischia di restare incagliato, se non impara ad agire sul proprio atteggiamento e a sviluppare la consapevolezza delle sue possibilità in termini di prestazione, che dipende esclusivamente da lui, e non di risultato, che dipende anche da fattori esterni, oltre che da lui. Grazie a un adeguato allenamento mentale, tuttavia, un tennista può far maturare dentro di sé, gradualmente, la mentalità dell’Atleta Vincente, che pensa come un campione, agisce come un campione, si allena come un campione e gareggia “per vincere”. Attenzione: gareggiare “per vincere”, come spiego nelle “Istruzioni per l’uso” del mio libro “Atleta Vincente”, vuol dire sviluppare la fiducia nelle proprie possibilità, assumersi sempre la responsabilità del proprio operato e dare il meglio in ogni circostanza, senza mettersi a fare calcoli di convenienza. Ogni match fa storia a sé, ogni colpo fa storia a sé e, soprattutto, un colpo non ha memoria, quindi va affrontato con serenità e puro piacere, puntando solo alla perfezione del gesto, indipendentemente dal fatto che sia un colpo successivo a un errore, un set point o un match point. Se si dà troppa importanza al risultato, lo ribadisco, si perdono la spontaneità e gli automatismi, con l’inevitabile conseguenza di ottenere un rendimento inferiore alle proprie potenzialità.

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